“Prodotti smart e alternativi per navigare sui mercati”

Da una parte c’è la necessità di razionalizzare l’offerta per rispondere all’evoluzione normativa e di mercato, dall’altra la volontà di soddisfare una domanda d’investimento che oggi si è fatta più complessa che in passato”. Il quadro delineato da Lorenzo Alfieri (nella foto), country manager Italia di J.P. Morgan Asset Management, può apparire a prima vista contraddittorio, ma in realtà è indicativo dei grandi cambiamenti che stanno interessando un’industria in grande salute, ma anche consapevole di doversi rinnovare per mantenere elevato l’appeal presso gli investitori.

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, la Mifid 2 viene vissuta da molti operatori del risparmio gestito come una pericolosa minaccia in termini
di business. In particolare c’è la sensazione diffusa che la maggiore trasparenza introdotta dalla direttiva europea porterà una generale compressione dei margini e quindi a una selezione dell’offerta.
Nella doppia veste di manager di un gruppo internazionale e vice presidente di Assogestioni, concorda con questa visione?


Vorrei mettere un punto fermo: la maggiore trasparenza è benvenuta perché fa emergere la qualità dell’offerta e rafforza il clima di fiducia tra investitori e operatori del settore, favorendo relazioni a lungo termine. Detto questo, l’evoluzione dal lato dell’offerta non è legata solo all’evoluzione normativa. La concorrenza è sempre più forte e, per quanto ci riguarda, già due anni fa abbiamo razionalizzato la struttura riuscendo così ad abbattere del 30% i costi amministrativi e quelli distributivi. Oggi il mercato chiede un numero minore di prodotti e maggiore chiarezza nella struttura dell’offerta.

Però nei mesi scorsi avete quotato su Borsa Italiana cinque Etf europei, tre basati su strategie obbligazionarie e due liquid alternative. Come si spiega questa scelta alla luce della necessità di semplificare l’offerta?

A livello globale abbiamo circa 500 strategie e siamo consapevoli che non tutte possono essere realizzate in maniera adeguata attraverso i fondi comuni in un’era di crescente complessità dei mercati. Da qui l’idea di fornire alla clientela l’accesso a nuove soluzioni d’investimento a basso costo, quotate sul mercato e dunque negoziabili in qualsiasi momento, oltre che smart.

In che senso?

Il settore degli Etf non è fatto solo di panieri che replicano passivamente un indice sottostante calibrando i pesi in base alla capitalizzazione dei singoli titoli. Per quanto ci riguarda abbiamo deciso di puntare su prodotti innovativi. È il caso del JPMorgan Usd Ultra Short Income Ucits, che offre un’esposizione diversificata a bond con una scadenza molto corta e strumenti di debito obbligazionari investment grade societari e governativi. Stesso discorso per il JPMorgan Managed Futures Ucits, che segue un approccio bottom-up per prendere posizioni lunghe e corte sui mercati dei future.

Dunque gestione attiva e passiva possono convivere sotto un medesimo cappello, a patto di adottare soluzioni capaci di fare la differenza?

Esatto. L’expertise del nostro gruppo, che a livello internazionale amministra 1.684 miliardi di dollari (dati al 31 marzo 2018, n.d.r.), è utile per offrire soluzioni adeguate in un mercato sempre più complesso, nel quale le scelte direzionali rischiano di non essere più esaustive. Lo possiamo fare grazie alla professionalità di oltre 800 professionisti dell’investimento e una rete di uffici in 41 città di diversi paesi, tra cui l’Italia dove oggi gestiamo asset per oltre 33,88 miliardi di euro(dati Assogestioni al 31 dicembre 2017, n.d.r.).

A questo proposito come vede
lo scenario delle principali asset class?


Penso che i prossimi mesi saranno in linea con quanto si è visto in questo primo scorcio del 2018: ci sarà una certa dose di volatilità e una forte dipendenza dai fattori geopolitici e dalle previsioni sulle mosse delle banche centrali. Per far fronte a questo scenario occorre guardare al mondo degli alternativi, preferibilmente attraverso soluzioni liquide. Dunque, occorre guardare a prodotti che utilizzano strumenti d’investimento generalmente poco correlati con i mercati, consentendo all’investitore di uscire in qualsiasi momento. Questi strumenti sono adesso a disposizione di tutti gli investitori e quindi possono essere acquistati
per importi contenuti. Ma soprattutto possiedono una caratteristica importante: hanno una quotazione giornaliera.

Insomma, non è una stagione particolarmente indicata per chi ama il fai da te…

Direi proprio di no. I titoli di stato hanno smesso da tempo di essere un porto sicuro, un’opportunità per coloro che un tempo erano definiti i Bot people. Inoltre, la prospettiva di rialzi dei tassi ufficiali rende particolarmente arduo generare rendimenti con le soluzioni obbligazionarie tradizionali.

Questo mix di fattori sembra sostenere la corsa dei Pir, che hanno chiuso il 2017 con una raccolta di poco inferiore agli 11 miliardi di euro e continuano
a crescere anche nel nuovo
anno. Ritiene che questo trend
sia sostenibile anche in caso di correzioni profonde dei mercati, che non si possono escludere dopo la lunga fase “Toro” dalla quale arriviamo?

I Pir sono un’innovazione normativa di grande interesse perché aiutano a ragionare in un’ottica di medio-lungo termine, considerato che il beneficio fiscale (detassazione sugli eventuali guadagni, n.d.r.) scatta se si conserva l’investimento almeno per cinque
anni. Questo è lo spirito giusto per approcciare gli investimenti in un’ottica di valorizzazione sostenibile nel tempo. La nostra società è presente in questo segmento di mercato con il Multi-Asset Italy Pir Fund, un prodotto bilanciato tra esposizione azionaria e obbligazionaria, che fa della gestione attiva il proprio punto di forza per cercare di volta in volta le opportunità che si presentano sul mercato.

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