Promotori finanziari – Vietato vendere

La figura del promotore finanziario, introdotta nell’ordinamento giuridico italiano dall’art. 5 della Legge 2 gennaio 1991, n. 1 è attualmente definita dall’art. 31 del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) e successive modifiche, secondo il quale “è promotore finanziario la persona fisica che, in qualità di agente collegato ai sensi della direttiva 2004/39/CE , esercita professionalmente l’offerta fuori sede come dipendente, agente o mandatario. L’attività di promotore finanziario è svolta esclusivamente nell’interesse di un solo soggetto”. Il promotore finanziario, dunque, è l’unico operatore dell’industria del risparmio abilitato alla promozione e al collocamento di prodotti finanziari e servizi di investimento in luogo diverso dalla sede e dalle dipendenze del soggetto abilitato per cui opera (SIM, SGR, banche).

Così nel sito dell’APF viene definito il promotore finanziario. Definizione che trova la sua sintesi in una sola parola: vendere. Arrivati a questo punto metà dei lettori avranno cambiato pagina infastiditi da questo termine così “volgare e offensivo”. Come se il termine vendere fosse sinonimo di “assatanati di commissioni”. O peggio sinonimo di “truffatore” (per non parlare del termine ‘venditore’, ormai diventato impronunciabile).

Qualcuno preferisce il termine “collocamento“. E magari avrà già messo mano alla tastiera per rispondere a questo articolo con il dente avvelenato per ricordare che collocare uno strumento finanziario comporta un servizio di consulenza finanziaria, mentre vendere è un’attività puramente “meccanica”.

D’altro canto, i “nuovi” consulenti indipendenti saranno pronti a festeggiare perché finalmente qualcuno chiama le cose con il proprio nome: “loro sono venditori noi siamo consulenti. Quindi meglio noi”.

No, nulla di tutto ciò. Mettiamo da parte i pregiudizi e riabilitiamo l’arte della vendita (e con lei i professionisti della vendita come i promotori finanziari). Vendere può avere diversi significati. Due in particolare: (1) cedere ad altri la proprietà di qualcosa ricevendone un corrispettivo; (2) esercitare un’attività commerciale determinata. Cosa c’è di volgare e offensivo in tali attività?

Il termine latino “vendo”
(da cui deriva l’italiano vendere) aveva diversi significati: (1) mettere in vendita qualcosa; (2) aggiudicare all’asta; (3) appaltare; (4) “smerciare” (nel suo significato disonesto); e infine (5) “raccomandare, mostrare i pregi di qualcosa”.

Raccomandare“, verbo che ricorda la tanto decantata MiFID con le sue “raccomandazioni personalizzate”, altro modo per definire la consulenza finanziaria. Vendere è raccomandare, raccomandare prevede un servizio di consulenza, la vendita prevede un servizio di consulenza. Che piaccia o no, vendere (e non collocare, termine che fa tornare in mente un altro verbo: piazzare qualcosa a qualcuno – questo sì volgare) è un’attività con una sua nobiltà.

Per vendere devi mostrare i pregi di qualcosa. Per vendere devi rispondere alle esigenze di un cliente. Per vendere devi saper raccomandare qualcosa (in cui credi) a qualcuno. Certo puoi mentire ma alla fine perdi reputazione e clienti (vecchi, nuovi e potenziali).

Perché si può (anzi si deve) parlare di servizio di “post-vendita” (come indicato anche nel sito dell’APF: Il compito del pf non termina con la sottoscrizione del contratto di investimento ma continua nell’assistenza post-vendita) e non si può (anzi non si deve) parlare di “vendita”?

In fondo… ognuno vive per vendere qualcosa (anche i “nuovi” consulenti indipendenti – che piaccia, o no).

Ora potete mettere mano alla tastiera ed esprimere la vostra opinione scrivendo a [email protected]

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