Crisi, in Italia la peggiore di sempre

La fine del periodo di crisi è un miraggio ancora lontano, l’Italia non vive una situazione economica così arida da trent’anni, anzi, negli anni ’70 l’economia nazionale ha subito una recessione meno pesante di quella in atto oggi.
Per ritrovare dei parametri simili a quelli odierni bisogna tornare agli anni ’30, quando si arrancava faticosamente fuori dal crollo americano del 1929 con un decennio di pesante dopoguerra alle spalle.
A fornire i dati è uno studio realizzato da Antonio Bassanetti, Martina Cecioni, Andrea Nobili e Giordano Zevi per Bankitalia.
L’Occasional Paper mette a confronto tutte le fasi recessive vissute del nostro paese e la conclusione è allarmante: quella attuale è senza dubbio la più grave.

“Il lavoro propone un’analisi comparata dell’andamento dei principali aggregati macroeconomici, reali e creditizi, nonché delle reazioni della politica monetaria in occasione delle più gravi recessioni attraversate dall’economia italiana.”. L’indagine si concentra soprattutto sugli ultimi quarant’anni, per i quali le informazioni disponibili forniscono un quadro ampio e dettagliato. In particolare, si confronta l’evidenza relativa alla profonda recessione tuttora in atto con quelle registrate nel 1974-75 e nel 1992-93, in corrispondenza delle crisi petrolifera e valutaria. Si propone anche un raffronto con gli andamenti degli anni trenta, ma limitato ad un numero ristretto di variabili, a causa delle scarse fonti disponibili. La recessione in atto condivide infatti tratti essenziali con le crisi passate, aggiungendone però altri peculiari di questo periodo.

Il primo parametro considerato nello studio di Bankitalia è la recessione del PIL che si profila, escludendo i periodi bellici e le loro immediate prossimità, fra le più durature e profonde attraversate dall’economia italiana. La perdita cumulata secondo i conti nazionali trimestrali è già più grave di quelle del 1974-75 e del 1992-93, e potrebbe risultare di entità analoga a quella registrata negli anni trenta.
È sicuramente il settore industriale, alle prese con la debole domanda interna, quello che ha più risentito dell’eccezionale calo, che ha portato alla riduzione del livello di manifattura e quindi dell’esportazione. Le vendite all’estero hanno infatti subito una flessione che non ha precedenti nelle crisi degli anni ’70 e ’90, il profilo sarebbe più simile a quello rilevato negli anni trenta.

Per misura non ha precedenti fino al dopoguerra anche il prolungato ristagno del reddito disponibile reale delle famiglie, il cui potere d’acquisto è cresciuto solo dello 0,3% negli ultimi quindici anni. Gli andamenti negativi dei mercati dei capitali si sono riflessi nella contrazione del valore delle attività finanziarie delle famiglie, ma la recessione in atto è stata sinora caratterizzata da una peculiare attenuazione dell’inflazione, che ha contribuito a contenere la flessione, comunque significativa, del potere d’acquisto delle famiglie.

Nel confronto storico, anche il grado di diffusione della crisi corrente risulta decisamente pronunciato: la quota dei settori industriali che stanno attraversando una fase flettente (oltre il 90% nel primo trimestre del 2009) è maggiore di quelle rilevate nel 1974-75.

Il sentiero di sviluppo lungo cui si è giunti alla crisi corrente è decisamente meno sostenuto di quello che ha preceduto tutte le altre recessioni prese a confronto: nella media del quinquennio 2003-07 il PIL è cresciuto a un tasso inferiore alla metà di quello degli anni 1988-92 e pari a un quarto rispetto ai periodi 1970-1974 e 1925-29.
Una nota positiva si rileva invece nel tasso di riduzione nella crescita degli impieghi che al momento è inferiore di un quarto rispetto a quella rilevata, in media, nelle altre quattro principali fasi di restrizione dell’offerta individuate dagli anni settanta ad oggi.

 

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