Riforma pensioni: quello che il Governo non dice

Anche se non è stata realizzata una vera e propria legge, tecnicamente, quella di agosto può essere rappresentata come la riforma definitiva delle pensioni in Italia. Ma nessuno ne parla. E nel silenzio di Governo, opposizione e sindacati cambiano le regole. Bluerating.com ne ha parlato con Sergio Sorgi, vice presidente di Progetica.

Cosa è successo il 3 agosto del 2009 relativamente alle pensioni?
La legge 3 agosto 2009, n. 102, che ha convertito il cosiddetto decreto anticrisi, comprende, nell’articolo 22 ter, importanti cambiamenti in merito all’età del pensionamento futura sia dei dipendenti pubblici che dei lavoratori dipendenti privati ed autonomi. Per questi ultimi si sono introdotte modifiche sostanziali rispetto al passato. In sostanza si è fatta una riforma delle pensioni molto significativa, senza specificamente fare una legge sulle pensioni. 

Quali sono le caratteristiche di questa “riforma”?
Tecnicamente, quella di agosto 2009 può essere rappresentata come la riforma definitiva delle pensioni in Italia. Questo perché si è reso automatico il futuro adeguamento delle età pensionabili, legandole all’allungamento della vita media. In particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2015, i requisiti di età anagrafica per l’accesso al sistema pensionistico italiano sono adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’Istituto nazionale di statistica e validato dall’Eurostat, con riferimento al quinquennio precedente. Questo significa, concretamente, che l’età pensionabile non è più stabilita mediante il semplice incontro tra genere, età, cassa professionale, anni di contribuzione ma che viene introdotto un vincolo esterno ed automatico, che consiste nell’ancoraggio dell’età pensionabile alle aspettative di durata della vita. Con questo passaggio, si completano gli automatismi introdotti dalla riforma Prodi del 2007, che aveva affidato alle statistiche l’abbassamento progressivo dei coefficienti di trasformazione del montante pensionistico in rendita, collegandoli, anche in quel caso, alle ipotesi di vita.

Possiamo esemplificare le conseguenze della riforma sui lavoratori dipendenti o autonomi?
Sì, ma in primo luogo deve essere chiaro che dal 2015 l’età pensionabile potrà essere stimata ma non conosciuta in anticipo con certezza. Ci vogliono infatti simulatori demografici che siano in grado di elaborare, a diversi gradi di probabilità, stime sull’allungamento della durata di vita in Italia ed applicare tali esiti alle situazioni singole. La conseguenza più significativa, tuttavia, deriva dal fatto che, se la vita media continua ad allungarsi con la direzione e la velocità del passato, presto l’età minima di pensione supererà quei 65 anni che da tempo costituiscono l’età della pensione di vecchiaia. In Italia, da tempo, è possibile andare in pensione prima di questa età se si maturano periodi contributivi molto lunghi. Con l’ancoraggio dell’età minima alla longevità, il limite dei 65 anni sarà presto superato e questo, in pratica, significa, che non ci sarà più la pensione di anzianità ma rimarrà solo quella di vecchiaia.

Possiamo fornire qualche esempio per dare concretezza agli impatti di questa nuova disciplina?
Le prime simulazioni mostrano che tra il 2025 ed il 2030 la soglia dei 65 anni potrebbe diventare l’età minima per i dipendenti e per gli autonomi. Intorno all’anno 2035, importante dal punto di vista pensionistico perché accoglierà una significativa onda di baby-boomers che raggiungono l’età della pensione, l’età minima di pensionamento potrebbe essere di 67 anni per i dipendenti e a 68 anni per i lavoratori autonomi. Sono età, naturalmente, che pongono nuove domande sia ai lavoratori che al sistema sociale, che già ad oggi sembra poco capace di definire un ruolo sociale e lavorativo ai lavoratori non più giovani. Inoltre, naturalmente, lo spostamento delle età ed il conseguente modificarsi dei calcoli relativi agli importi di pensione attesa, richiede sia nei consumatori che nei consulenti un repentino adeguamento in termini di competenze, strumenti e attività di pianificazione finanziaria e previdenziale.

Commento:
rimane la soglia dei 40 anni di contributi (anzianità contributiva) o ci siamo giocati anche quella ? nel vs articolo non se ne parla. Grazie.

Risposta:
Gentile lettore, grazie innanzi tutto per la domanda. Ripercorrendo le parole di Sergio Sorgi (in particolare il terzo quesito), sembra che il legislatore opterà in via definitiva per la pensione di vecchiaia, mentre andrà a cadere quella di anzianità. Quindi, per dirla con parole sue, sì, effettivamente ce la siamo giocata.

Commento:
Ci siamo giocati la pensione di anzianità, ma da quando indicativamente.
Dovrei raggiungere i 40 anni contributivi tra 4 anni 3 mesi 14 giorni 15 ore e 30 minuti.
Mi sto preoccupando!
Grazie
Saluti
Mario Cattaneo
Bergamo

Risposta
Gentile sig. Cattaneo, per ora penso lei possa tirare un bel sospiro di sollievo. Gli effetti della riforma avranno il loro impatto a partire dall’1 gennaio 2015.

Commento:
e per chi compirebbe l’attuale minimo di età per andare in pensione proprio il 2015, e non il 1° gennaio?

Risposta
E’ probabile che rimanga, come si suol dire, “fregato”. Dalla sua ha però il fattore tempo; da qui al 2015, conoscendo le tipicità italiane, potrebbe succedere ancora di tutto sul piano legislativo.

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