L’occasione perduta

di Alessandro Rossi

Una ricostruzione che consentirà di riposizionare molte tessere del puzzle shakerato dalla crisi. In effetti il mercato è stato, come si dice in gergo “ripulito”. Lo si dice quando il Grande Orso passa sui mercati azionari e fa fuori parte della speculazione spicciola e parassita. Questa volta il Grande Orso è passato sul sistema e ha schiacciato sotto le sue zampone il fior fiore di quelle che furono le istituzioni finanziarie che hanno fatto la storia del denaro. Quei fallimenti, tra le varie reazioni, hanno provocato la promessa da parte delle autorità di mezzo mondo che da allora in poi i mercati non sarebbero stati più gli stessi, ma sarebbero state introdotte regole ferree che avrebbero impedito di nascere a ogni forma di bolla. E’ passato un anno e, a parte qualche provvedimento preso autonomamente da qualche stato, di regolamentazioni vere e proprie non se ne parla. Né sembra che ci sia la voglia di farlo. Per esempio il dibattito sulle banche si è molto concentrato sui bonus e sugli stipendi stratosferici dei banchieri.
Ma è un falso problema: anzi è uno dei problemi minori che si può risolvere quasi con una grida manzoniana. Quello che più conta è come si formano i bilanci delle banche, cosa contengono, la reale entità delle poste. E’ passato più di un anno dal crack Lehman e si riparla di nuovo di bolla speculativa sui derivati: il meccanismo a leva si è fermato al momento della crisi, è stato ostracizzato, criminalizzato, ma qualche mese dopo è tornato tranquillamente a far la sua parte. Ecco, ormai il tempo a disposizione sembra finito. Perché su certi meccanismi, se non si interviene nel momento dell’emergenza, è difficile in tempo di quiete prendere provvedimenti che comunque riguardano il mercato. Gli interessi sono troppo elevati, i gruppi di pressione sono tornati in sella. No, manca il clima politico per intervenire. E la spinta decisiva dovrebbe ancora venire dagli USA: se Barack Obama mettesse lo stesso impegno che sta mettendo per la riforma sanitaria (una battaglia sacrosanta) per riformare le norme della finanza, forse presto ci sarebbe un nuovo ordine mondiale sui mercati. Staremo a vedere. Ma l’impressione è che i buoi siano già scappati. Intanto il 2010 è alle porte.
Si aprirà e forse proseguirà all’insegna della politica dei tassi bassi. Almeno per i primi mesi i timori di una recessione mondiale sono ancora troppo forti per far prendere il rischio alle autorità americane di tagliare i tassi d’interesse.
Ci vorrebbero segnali forti di ripresa economica che, però, per il momento, sono troppo contrastanti. Ergo, il dollaro continuerà ad essere debole e l’oro continuerà ad essere forte, anche perché le banche centrali continuano fare shopping di metallo giallo. Obama dovrà risolvere il grande nodo del rapporto dollaro-yuan che oggi è troppo stretto per volontà cinese. L’impero comunista (nella politica) e capitalista estremo (nell’economia) nel 2010 si è però posto l’obiettivo di essere definitivamente “sdoganato” sui mercati mondiali per acquistare in credibilità e cominciare ad esportare non solo prodotti a basso costo ma anche prodotti di qualità e quindi ad alto valore aggiunto. Ma per ottenere la benedizione quello che fu l’impero celeste ha bisogno degli americani. Gli unici che possono fare da garanti. C’è poi, tra i tanti, il tema degli investimenti. Se le aziende, i gruppi industriali, torneranno a credere negli investimenti dopo il periodo delle ristrutturazioni e della pulizia di bilanci, quello sarà un segnale decisivo per la ripresa. Ma per investire occorre fiducia: e questa ancora non ha conquistato il campo.

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