di Manlio Marucci
…della metà (circa 25.000) quelli che svolgono per conto di un soggetto abilitato (intermediario) l’attività all’interno di una struttura distributiva. Fino al 2003 il numero di iscritti era cresciuto annualmente di oltre il 20% per poi ridursi negli ultimi due, tre anni progressivamente fino ad attestarsi ai valori di mercato attuale.
La punta massima forse è stata toccata nel 2006 quando le quotazioni dei mercati finanziari hanno raggiunto il loro massimo (luglio).
Le società di intermediazione attraverso le loro reti organizzate erano alla ricerca di migliaia, se non centinaia, di pf e durante questo periodo abbiamo assistito al passaggio da una società all’altra accogliendo offerte e ingaggi spesso da capogiro.
Guardando la situazione oggi, questi 25.000 professionisti sembrano tanti. Troppi. Perché del mercato che le reti speravano di conquistare a suon di promotori non è rimasto che il ricordo. Troppi, perché la quantità non fa più la differenza. Vediamo di capirne le ragioni strutturali.
Innanzitutto vi è una logica legata alla questione del patrimonio gestito. Il mercato è cambiato e sono mutate le prospettive occupazionali del settore.
Sono cambiati gli scenari normativi (MiFID) e con queste le figure professionali: da promotore a consulente.
E’ cambiata anche e soprattutto la cultura del risparmio e degli investitori, causa anche la forte crisi di questi ultimi mesi.
Tuttavia se i grandi portafoglisti continuano a essere merce preziosa con un potere contrattuale ancora forte, i manager sono invece diventati un orpello costoso che è andato via via ridimensionandosi. Gli slogan oggi del recruting sono quelli di fare sistema, fare massa, aggregare professionisti preparati e qualificati; le priorità delle società e le fusioni di questi ultimi mesi ne sono una testimonianza.
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