La raccolta netta torna a soffrire, mentre si discute del ruolo della consulenza

 Il risparmio gestito italiano torna a perdere colpi: a febbraio il sistema fondi ha chiuso con una raccolta netta negativa per 456 milioni di euro. Un dato che rischia di far tornare i nervi a fior di pelle ai PF italiani, che in questi anni hanno assistito al continuo calo del numero di professionisti attivi e che da un decennio, salvo brevi parentesi, hanno dovuto registrare una progressiva erosione del giro d’affari e dei margini di profitto a fronte di una crescente pressione competitiva.

 

Se i promotori piangono, le società di gestione almeno in parte possono sorridere, visto che nonostante il risultato negativo della raccolta il patrimonio in gestione è in crescita attono a quota 434 miliardi. Tra prodotti di diritto italiano ed estero i primi continuano a perdere quota (-1.958 milioni), i secondi a guadagnarne (+1.501 milioni) e lo stesso succede tra gruppi italiani (-610 milioni) ed esteri (+154 milioni), a conferma che prosegue il rigiro delle posizioni su strumenti fiscalmente più vantaggiosi. Uno scenario complesso, dunque, di cui non potrà non tener conto la prossima riforma del settore.

 

 Una riforma di cui da tempo si sente la necessità e non solo in Italia, se è vero che un recente studio di Morningstar ha dimostrato come non solo i gestori italiani ma anche i grandi nomi americani hanno bruciato centinaia di miliardi di risparmi nel primo decennio del XXI secolo, da  Janus Capital Group (che ha bruciato circa 58,4 miliardi di dollari di valore dal 2000 al 2009, pari ad un rendimento complessivo ponderato negativo per l’1% su base annua) ad AllianceBernstein Holdings (11,4 miliardi bruciati nel decennio), fino a Invesco Aim (una controllata del gruppo Invesco, che ha distrutto 10,1 miliardi). 

 

Di certo i PF che animano la discussione sulle pagine di Bluerating appaiono disincantati: “rete è sinonimo di incastro” stigmatizza un nostro lettore, “incastrare giovani da reclutare nella rete, cosi portano parenti e amici a sottoscrivere magari polizze a 30 anni”. Un sistema grazie al quale, accusa, si “facevano commissioni enormi” sulla pelle dei più giovani e meno esperti. La consulenza appare a questo punto una vita obbligata, con l’avvertenza, scrive un altro nostro lettore, che “la consulenza a 360 gradi non significa fare cerchi, significa dare ciò che serve al cliente, se serve una cessione”, quando si capisce che è “inutile insistere con l’investimento”.

 

Sul tema della consulenza indipendente interviene anche Cesare Armellini (presidente NAFOP), che ricorda: “Con la nascita dell’Albo di categoria, che avverrà nei prossimi mesi, ci sarà un incremento dei soggetti (persone fisiche e giuridiche) che potranno prestare il servizio di consulenza finanziaria indipendente. Solo chi sarà iscritto al nuovo Albo dovrà sottostare al Requisito di Indipendenza (nessun rapporto con società prodotto e remunerazione a parcella solo da parte del cliente) e potrà definirsi fee only”.

 

 Purtroppo, aggiunge Armellini, “alcune reti di promotori finanziari hanno utilizzato in maniera scorretta ed inappropriata questa definizione, in quanto la consulenza in conflitto di interesse prestata da reti di vendita e banche può al massimo essere definita fee and commission o fee offset”.  Secondo Armellini, dunque, “la professione di consulente fee only è completamente diversa rispetto a  quella del promotore finanziario o del private banker” e se tali professionisti “volessero diventare professionisti indipendenti, dovrebbero fare tesoro dell’esperienza maturata nell’attività di vendita di prodotti finanziari e impegnarsi nell’acquisizione di nuove competenze”. 

 

Interessante anche l’opinione di un nostro lettore che precisa di essere stato “dipendente bancario per 15 anni e promotore da 10”. “Il minimo garantito non deve essere dato ai promotori, abbiamo deciso di essere indipendenti ? Sì! E allora ci assumiamo i rischi e le responsabilità del caso” e quanto alla diatriba sui manager di rete, più che relativo all’utilità o inutilità della loro figura “il problema è un altro: i manager in quanto figure si occupano della gestione e organizzazione su disposizioni della società, non devono essere pagati a over ma a stipendio più premi”. E voi siete d’accordo o avete un’opinione differente? Come sempre i vostri commenti inviateli qui

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