Non solo benchmark

…connessi alla gestione, al quale commisurare i risultati della gestione stessa; il benchmark doveva essere costruito facendo riferimento a indicatori finanziari elaborati da soggetti terzi e di comune utilizzo. Tutto ciò poteva indurre a estenderne la funzione ritenendolo un indicatore rappresentativo del rischio della gestione configurando ipotesi di responsabilità dell’intermediario nei casi di scelte di investimento non coerenti con la struttura del parametro indicato nel contratto. La Consob si era già espressa in senso favorevole sulla possibilità di inserire nel contratto, in luogo del benchmark, un indicatore del livello massimo di rischio che l’investitore è disposto a sopportare rilevando che il benchmark può essere indicativo del rischio-rendimento atteso del portafoglio gestito del cliente nel caso in cui la composizione di detto portafoglio derivi dall’adozione di strategie di investimento basate su una politica di asset allocation definita ex-ante (investimento in predeterminate categorie di strumenti finanziari, mercati, aree industriali). Il benchmark, sempre secondo la Consob, non può invece assolvere la predetta funzione laddove la composizione del patrimonio gestito del cliente, in conformità a quanto specificato nel relativo contratto, sia soggetta a continue modifiche per quanto attiene la scelta degli strumenti finanziari (anche derivati), dei mercati e delle aree industriali, e pertanto la strategia di gestione sia finalizzata alla massimizzazione del rendimento per un dato livello di rischio. La nuova disciplina regolamentare non considera più obbligatoria l’indicazione del benchmark nel contratto, ritenendolo necessario solo qualora risulti significativo; in tal caso funge da parametro per raffrontare il rendimento del portafoglio del cliente. Nelle cosiddette “gestioni flessibili”, ove il gestore ha la massima discrezionalità di diversificare il portafoglio tra strumenti finanziari di natura azionaria e obbligazionaria, il parametro oggetto di riferimento non può assumere alcuna significatività e pertanto l’indicazione nel contratto non solo risulta superflua, ma addirittura fuorviante. Nel corso della consultazione alla bozza del nuovo Regolamento Intermediari è stato suggerito alla Consob di chiarire in sede regolamentare che l’indicazione di un parametro di riferimento, sebbene non più obbligatoria, non comporta di per sé vincoli alla discrezionalità del gestore nella diversificazione del portafoglio. L’autorità di vigilanza non ha tuttavia ritenuto necessario accogliere le richieste di precisazione auspicate dal mercato rilevando che l’art. 29 RI già chiarisce che il benchmark “rappresenta un termine di confronto dei risultati ottenuti dal gestore e per essere tale deve essere coerente con il mandato gestorio sotteso in termini di obiettivi di investimento e profilo di rischio”. La Consob ha di fatto confermato che la funzione attuale del benchmark non è diversa da quella che aveva ai sensi del precedente Regolamento Intermediari; il fatto che tale parametro debba essere coerente con gli obiettivi di investimento e il profilo di rischio lascia intendere che rappresenti ancora un elemento volto a definire implicitamente le caratteristiche della gestione e configuri pertanto un indicatore di rischiosità al quale può riferirsi il cliente che intenda affidare il proprio patrimonio ad un intermediario.

Trovi tutti gli approfondimenti
sul mondo della consulenza
su Advisor.
Tutti i mesi in edicola.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!

Tag: