Per trasformare i PF italiani in FP occorrerà una rivoluzione copernicana

Quando dalle polemiche personali e dai referendum pro o contro questa o quella struttura si passa a parlare di cose concrete, in Italia non da oggi le chiacchiere lasciano spesso posto ad un assordante silenzio. Così non capita quando la discussione riguarda aspetti importanti della professione di promotore finanziario, almeno se la discussione è ospitata sulle pagine di Bluerating. Così la nostra domanda di ieri su cosa restasse ai promotori se per motivi legati alle politiche commerciali (o più direttamente al differente grado di remunerazione delle varie asset class) anche il market timing molte volte non è gestibile da coloro che dovrebbero essere gestori di clienti ha trovato pronta risposta.

 

Il problema, ricorda un promotore, “sta nel fatto che i PF sono retribuiti, ancora oggi, con un meccanismo inventato ai tempi dell’IOS del mitico Bernard “Bernie” Cornfeld (tanto cara ai capi storici di Mediolanum), mentre il mercato nel frattempo è cambiato completamente”. Permetteteci un breve excursus: per chi non ne avesse mai sentito parlare Cornfeld (morto nel 1995 all’età di 67 anni) era un finanziere internazionale fondatore nel 1960 della Investors Overseas Services (quartier generale a Ginevra, giro d’affari sviluppato soprattutto in Francia, Germania e Italia ma sede legale a Panama), società che vendendo fondi comuni per lo più a personale americano di stanza in Europa (Cornfeld era stato nei Marines durante la seconda guerra mondiale) era riuscito ad aggirare le regole fiscali americane ed europee.

 

Al di là dei “magheggi fiscali” Cornfeld, playboy di fama internazionale, da tutti descritto come generoso e gioviale e sempre circondato di belle donne (vi state chiedendo se la sua figura ha ispirato altri imprenditori? E’ probabile), fin dal 1962 iniziò a distribuire i primi “fondi di fondi”, ottenendo un rapido successo e giungendo a impiegare fino a un massimo di 25 mila promotori all’apice della sua gloria. Gloria caduca, tuttavia, dato che col mercato orso del 1969 la società finì quasi sul lastrico, basando il suo business model quasi esclusivamente sulle commissioni di performance retrocesse dai fondi distribuiti. Al giorno d’oggi, con mercati che hanno attraversato alti e bassi memorabili e una crescita economica vista da tutti molto modesta per molti anni ancora, non c’è dubbio che quel modello ha perso gran parte del suo motivo d’essere e che l’osservazione del nostro lettore è pertinente.

 

“Su Mediolanum – aggiunge lo stesso lettore – c’è un gigantesco equivoco. Non è che non facciano gestito, lo fanno eccome, ma attraverso le polizze vita che propongono per qualsiasi esigenza. Le polizze vita, in quel caso, sono tutte unit-linked che investono nei fondi della casa e sono servizi che generano ancora un ritorno commissionale a Mediolanum tale che le permetta di tenere in piedi la famosa struttura tipo IOS con 6-7 livelli di manager”. Tolto questo caso, che come si vede sembra basarsi più su una distorsione “storica” che non su una rispondenza alle caratteristiche del mercato attuale o alle esigenze della clientela, ai PF italiani più in generale non resterebbe, secondo un altro nostro lettore, che “la specializzazione in pianificazione finanziaria e la conoscenza dei mercati e dell’industria finanziaria”. 

 

Il che come commenta il nostro lettore, non pare poco, “anzi è una professionalità molto importante se messa al servizio della gente, come hanno fatto in Inghilterra”. Ne siamo pienamente convinti, posto che si risolva a monte il problema organizzativo e retributivo, consentendo ai professionisti italiani di trasformarsi da PF a FP (financial planner). L’inversione delle lettere può sembrare poca cosa, ma per offrire concrete prospettive professionali richiede il varo di un’autentica rivoluzione copernicana. Arriverà? Inviate come sempre le vostre riflessioni e commenti qui

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