Consulenti – Se me lo dicevi prima..

Un qualsiasi individuo nel momento in cui prende una decisione di investimento tende a focalizzare la propria attenzione esclusivamente sul rendimento. Il promotore finanziario, l’addetto allo sportello o chiunque si trovi nella veste di collocare/promuovere/spingere uno strumento finanziario parla spesso di rendimento atteso dei prodotti finanziari e quasi mai dei rischi ad essi associati.
Anche le riviste specializzate spesso focalizzano l’attenzione e gli studi sul rendimento passato, magari in periodi diversi (a 1 mese, a 6 mesi ad 1 anno ecc. ecc.), o sui rendimenti attesi, ma trascurano di evidenziare la maggiore o minore rischiosità associata ad un determinato Fondo comune di investimento piuttosto che un Etf.

Parlare di rischio è scomodo, complicato, fastidioso e potrebbe spaventare i potenziali clienti!
Commercialmente è sicuramente meno faticoso affermare: “questo Etf ha reso il 20% l’ultimo anno” rispetto a “questo Etf può esporre ad una perdita giornaliera potenziale del 2%”. Quanta noia, poi, spiegare concetti complessi: Var, intervalli di confidenza, correlazione inversa tassi-prezzi dei bond, duration …. No meglio evitare: perché complicarsi la vita?
Nella mia esperienza professionale mi confronto continuamente con clienti che hanno una fortissima avversione non solo al rischio, ma anche al concetto stesso di rischio. Non parlo solo di piccoli investitori.

Nel corso di una riunione per la definizione dell’asset allocation di un cliente di notevoli dimensioni, mentre proponevo di inserire nel portafoglio una certa percentuale di obbligazioni governative area euro o titoli sovranazionali, mi sono sentito rispondere dal gestore: “dottore quei titoli non rendono niente: inseriamo invece delle obbligazioni bancarie subordinate”. D’accordo, ho controbattuto, le obbligazioni bancarie subordinate rendono molto di più rispetto ad un titolo di stato ad esempio francese, ma il rischio? Sono stato guardato con uno sguardo tra il sorpreso e l’ironico.

Poi scoppia la crisi e tutti a correre come formiche e chiedere: “abbiamo acquistato obbligazioni Greche?”. Poi crollano i mercati azionari: “ma quante azioni abbiamo?”. Poi risalgono i tassi sul mercato e crollano i prezzi dei bond: “ma noi non abbiamo titoli lunghi vero?”. Con l’inevitabile corollario della frase (mi scuso con Jannacci per la citazione involontaria di una sua famosissima canzone): “Se me lo dicevi prima!”.
Prima era difficile spiegare che a fronte di mezzo punto in più annuo di rendimento ci si esponeva ad un rischio maggiore acquistando obbligazioni greche rispetto a bund tedeschi; prima era difficile spiegare che acquistare un’obbligazione decennale al 5% fisso annuo (no dico cinquepercentofissoannuo) era molto più rischioso che acquistare un Cct a tasso variabile con rendimento annuo stimato dello 0,9%. Era difficile perché tutti erano concentrati a considerare solo il rendimento atteso.
In conclusione, sintetizzando, un consulente preparato riesce a “dirlo prima” ossia:
-        approfondisce la conoscenza del proprio cliente prima di suggerire alcunché;
-        comunica correttamente il livello di rischio di ciascun strumento proposto;
-        monitora periodicamente il livello di rischio del portafoglio complessivo;
-        comunica sia l’andamento delle performance che del rischio.
Solo così è in grado, semplificando al massimo, di suggerire:
-        un portafoglio con molte obbligazioni “cinquepercentofissoannuo” e con Etf/Fondi che hanno reso il 20% nell’ultimo anno al cliente con una elevata propensione al rischio;
-        un portafoglio con molte obbligazioni governative area euro AAA o sovranazionali AAA con duration bassa al cliente con una propensione al rischio bassa.

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