I PF alla prova del nuovo risiko finanziario italiano

Mentre i mercati finanziari proseguono nei loro alti e bassi, con l’euro che resta in calo sulle principali divise e la domanda di copertura contro ulteriori cedimenti (dati per più che probabili dagli analisti di Ubs e Bnp Paribas) ai massimi da sette anni in qua, a Milano resta sotto i riflettori il gruppo Intesa Sanpaolo, che dopo una trimestrale, diffusa venerdì, in linea o anche meglio delle attese degli operatori ha oggi annunciato il perfezionamento della cessione del ramo di attività di securities services a State Street Corporation per un corrispettivo di circa 1.750 milioni di euro, di cui circa 1.280 milioni relativi al solo avviamento. Un’operazione che si traduce per il gruppo guidato da Corrado Passera e Giovanni Bazoli in una plusvalenza lorda di circa 740 milioni di euro e in un recupero dell’avviamento di circa 540 milioni di euro, con un effetto positivo di circa 37 centesimi di punto sul coefficiente patrimoniale Core Tìer 1. 

 

Un contributo importante ai conti, tanto che lo stesso Passera ha definito “una super operazione” la transazione avvenuta oggi che vede l’istituto cedere “un’attività non core, ossia non strategica per noi” al “miglior compratore, a condizioni interessanti”, ma la curiosità del mercato resta appuntata sulla definizione di un’altra operazione, decisamente più “strategica”, quella che porterà l’istituto a cedere una quota di Banca Fideuram a un importante intermediario americano prima del collocamento della maggioranza del capitale in borsa. Operazione che, secondo gli ultimi rumors, potrebbe essere imitata in tempi non eccessivamente lunghi anche da UniCredit, che avrebbe avviato i primi colloqui con almeno un paio di soggetti per valutare “tutte le alternative” strategiche disponibili per Pioneer Investiments.

 

L’asset manager del gruppo, alla cui guida è arrivato dalla Gran Bretagna Roger Yates a inizio anno, ha subito come molti operatori la crisi finanziaria dell’ultimo biennio e ha visto le masse amministrate passare da oltre 130 a poco più di 67 miliardi di euro (al cambio attuale circa 82 miliardi di dollari). Relativamente pochi, se si pensa che Henderson (il gestore britannico di cui lo stesso Yates ha curato lo spin off ed è rimasto a capo sino al 2008) gestisce masse per oltre 93 miliardi di dollari e Invesco (gestore statunitense per cui lavorò in passato l’attuale numero uno di Pioneer Investments) ne gestisce quasi 457 miliardi di dollari di cui oltre 55 miliardi di soli ETF. Ecco perché sia Intesa Sanpaolo sia UniCredit, pur essendo i primi della classe in Italia, sembrano orientati se non a cedere quanto meno ad apportare le rispettive attività all’interno di una parnership con altri operatori, così da raggiungere una massa critica sufficiente in un mercato sempre più concentrato e competitivo dove i margini vanno assottigliandosi.

 

Un mercato, confermano con una certa amarezza anche i lettori di Bluerating, in cui “quella che sembrava la professione del secolo, un’opportunità di successo e guadagni facili per molti, sta diventando sempre più un privilegio ereditato solo da chi è riuscito a viverne l’esordio”. Chissà che il risiko che pare stia per rimettersi in corsa non finisca con l’attuare una selezione schumpeteriana in cui più che i privilegi ereditari non verranno premiati i professionisti più forti, in grado di meglio adattarsi al nuovo scenario e di curare meglio di altri relazioni sempre più complesse con clienti e mandanti. Inviate come sempre le vostre riflessioni e commenti qui

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