Il giro di valzer del promotore

di Massimo Arrighi

Il promotore finanziario è stato spesso percepito dal sistema finanziario come un collocatore puro. I clienti invece hanno sempre mostrato un alto livello di soddisfazione verso le reti, ma qualcosa è cambiato dopo le perdite collegate alla crisi e oggi si assiste a un calo nel margine di fiducia anche verso i promotori. Si prospettano quindi un riposizionamento strategico per accogliere la crescente domanda di consulenza avanzata e nuove sfide per il settore, che deve risolvere alcuni interrogativi:
– Quanta parte dei ricavi spostare verso forme di consulenza?
– Quale modello di pricing adottare?
– Quanta parte del portafoglio allocare in architettura aperta, attenuando i conflitti di interesse?
– Quale livello di personalizzazione adottare per i vari segmenti, in termini di piattaforme IT e risorse dedicate?
In Italia, l’incidenza della consulenza rispetto agli asset del risparmio gestito e ai ricavi è ancora minima; le opportunità di crescita sono però evidenti e infatti emergono nuovi operatori. Per le reti, i principali competitor sono:
– I Family Office e le boutique di Private Banking altamente specializzate e in larga parte internazionali. Mirati agli High Net Worth Individual, offrono un approccio personalizzato, inclusa la gestione di asset non finanziari. I consulenti finanziari indipendenti organizzati in SIM di distribuzione. Spesso ex promotori, per promuoversi presso i clienti fanno leva sull’uscita dalle logiche commerciali captive delle reti, dunque sull’assenza di conflitto di interessi. Sono particolarmente attivi su Affluent e piccoli investitori istituzionali (esempio: piccole amministrazioni locali).
Per la consulenza avanzata a pagamento, si prospettano due logiche di pricing diverse: quella On top fee (adottata per esempio da Fideuram) e quella Fee only (tipica di Fineco). La differenza fondamentale è che la prima non prevede la retrocessione delle commissioni pagate dalle SGR. Questo modello non elimina del tutto il potenziale conflitto di interessi, poichè è la rete a trattenere le commissioni, tuttavia il rischio è decisamente attenuato grazie alle piattaforme aperte e al meccanismo di calcolo delle fee, misurate sugli asset totali, a prescindere dalla composizione del portafoglio. Il secondo modello, invece, retrocede al cliente i rebate, ma implica delle advisory fee generalmente più alte.
L’articolo completo lo puoi trovare su Soldi,
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