Risparmio gestito a un bivio: voi per quale soluzioni fate il tifo?

Il mondo del risparmio gestito, si dice, è a un bivio: deve darsi nuove regole separando maggiormente l’attività distributiva (e i relativi flussi reddituali ma anche potenziali conflitti d’interesse) da quella di gestione, come chiede la Banca d’Italia, attuare nel concreto quelle misure di tutela degli interessi dei risparmiatori previste dalla MiFid, come pressa Consob, rivedere gli ambiti e i limiti di figure professionali come quelle dei Promotori Finanziari, dei consulenti “fee only”, dei “life-planner”, aggiornando al contempo la contrattualistica di riferimento e le forme di rappresentanza degli stessi professionisti e intermediari finanziari.

Eppure, nonostante uno stato evidente di difficoltà in cui il settore versa da almeno 10 anni e che si è accentuato nell’ultimo biennio per via della crisi economico-finanziaria partita da Wall Street e propagatasi in tutto il mondo, dal Giappone all’Europa (tuttora alle prese con i problemi del debito dei PIIGS e le conseguenze attinenti alle valutazioni dei principali gruppi finanziari del vecchio continente), la sensazione è che si continui a “prendere tempo”, un poco come la cancelliera tedesca Angela Merkel ha ammesso è stato finora fatto a livello di Eurogruppo per quel che riguarda la gestione della crisi dei PIIGS.

Crisi che sta per inciso portando i protagonisti grandi e piccoli del settore finanziario italiano a uscire almeno in parte allo scoperto, auspicando ciascuno a suo modo una soluzione. Se Alessandro Profumo, numero uno di UniCredit, parla di necessità di dare priorità alla crescita e dunque di mettere mano a riforme economiche, fiscali e previdenziali importanti, il cui impatto non potrà non farsi sentire anche a livello di risparmio gestito, il suo omologo in Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, preferisce sottolineare l’importanza di nuove regole, maggiore trasparenza e parla di una “crescita sostenibile” che l’Italia dovrebbe porsi come obiettivo al posto di quella “drogata” perseguita da molti altri paesi.

Sembrano sottigliezze filosofiche e invece sottointendono visioni del mondo per certi versi agli antipodi; nel mezzo molti altri banchieri ed esperti di finanza sembrano vivere alla giornata, in attesa di capire se questa fase consentirà loro di recitare un ruolo aggregante o li obbligherà a trasformarsi in prede più o meno appetitose per qualche grande nome internazionale. Così Massimo Doris, figlio di Ennio e vicepresidente di Mediolanum, fa spallucce e si dice non interessato “a fusioni e acquisizioni con societa’ di gestione perché abbiamo deciso di fare una cosa diversa”.

Non poi così diversa visto che se il figlio del fondatore rivendica l’opzione strategica di “divenire clienti” dei “grandissimi player” che ormai dominano il settore, la tendenza pare ormai comune a quasi tutto il panorama bancario italiano, salvo poche boutique in grado di proporre prodotti e servizi d’eccellenza a un ristretto numero di clienti di elevato profilo e cultura finanziaria. E voi per chi fate il tifo, siete per le regole o per la crescita? Preferite immaginare un mercato italiano in cui operino esclusivamente distributori di prodotti altrui o credete vi sarà spazio per conservare la capacità di creare prodotti e servizi “made in Italy” anche in questo campo? Fate come sempre giungere i vostri commenti qui: Doris Junior: Generali, Pioneer e Fideuram non ci interessano]

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