Risparmio gestito: serve un’idea a misura di clienti

Con mercati sui quali la volatilità “spicciola” pare destinata a rimanere elevata a lungo ma che difficilmente, sia pure a fronte di un quadro macroeconomico oggettivamente in miglioramento, saranno in grado di rinverdire tanto facilmente i fausti del passato decennio almeno a livello di multipli e valutazioni, e con prospettive sugli utili che restano alquanto incerte per i prossimi uno o due anni a venire, stante la generalizzata “stangata” fiscale che si va profilando per sanare la situazione debitoria di quasi tutti i principali paesi occidentali (la crisi dei PIIGS europei è sotto gli occhi di tutti, ma la Gran Bretagna, la Francia o la Germania non stanno molto meglio, per non dire degli Stati Uniti), i rapporti tra intermediari finanziari e risparmiatori rischia di farsi nuovamente teso.

 

Così mentre anche sulle pagine di Bluerating molti PF italiani si interrogano sulle prospettive della professione e chiedono a più riprese che si attui una riforma del settore che parta dai modelli organizzativi delle reti per arrivare anche a una ridefinizione dei rapporti contrattuali (e pertanto del sistema retributivo e incentivante, oltre che formativo), ogni tanto si ode anche la voce di qualche cliente che legittimamente avanza qualche timore, come fa “B L, un cliente deluso” che partendo dalle considerazioni fatte attorno al modello Mediolanum si chiede: “e noi poveri clienti come siamo messi, ci fregano tutti?”. Una generalizzazione ingenerosa, perché anche nel settore del risparmio gestito una banca non è uguale a un’altra e un professionista serio non vale quanto chi si limita a collocare quelli che sono per la sua mandante e se stesso i prodotti più remunerativi, “a prescindere” dalle necessità della clientela.

 

Eppure la notazione fa capire come a volte il settore venga percepito da una parte almeno di quel pubblico a cui si dovrebbe rivolgere. Colpa, si dirà, della poca cultura finanziaria italiana, ma colpa certamente anche della propensione a spingere più sulle spese di marketing e promozione che su un’attività di formazione della propria rete di vendita e pertanto di miglioramento delle relazioni con la clientela e della capacità di offrire un servizio di consulenza oggettiva come accade in gran parte del resto del mondo. Un problema che potrebbe essere superato col plurimandato, che però sembra incontrare ancora numerose resistenze da parte almeno di quella parte più arretrata del comparto che teme di essere danneggiata da una simile innovazione contrattuale.

 

Qual è la vostra esperienza al riguardo? I clienti sanno distinguere chi opera in modo corretto da chi cura solo i propri interessi o la scarsa trasparenza da un lato e la limitata cultura finanziaria dall’altra sono mali endemici del risparmio gestito italiano? E le nuove iniziative imprenditoriali di nomi noti, come Massimo Fortuzzi con Idea Sim, pensate potranno cambiare qualcosa? Come sempre dite la vostra inviando qui i vostri commenti.

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