Stress test europei poco credibili

È davvero calda l’estate del mondo bancario. In primis, per quel che riguarda il comparto d’oltreoceano, troviamo la riforma finanziaria tanto voluta da Obama; sebbene manchi ancora l’ok del Senato, sembra ormai avviata la strada verso un preciso cambiamento di rotta, in sostanza le banche dovranno maggiormente dedicarsi al commerciale piuttosto che alla speculazione finanziaria.
Parallelamente, ma questa volta in Europa, ecco arrivare lo stress test sui principali istituti locali; i risultati non sono ancora pubblici, ma tutto ciò è già abbastanza per ravvivare gli interessi, i dubbi e i timori degli investitori del mercato relativo. Nasce così nell’investitore più comune un chiaro desiderio di una qualche linea guida, un monito che permetta di capire dove orientarsi. Soldi ha deciso di affrontare un botta e risposta serrato con due protagonisti del risparmio gestito. Abbiamo posto quattro domande cruciali a Giorgio Giovannini, country manager per l’Italia di Henderson Global Investors e a Livio Dalle, head of advosry Vontobel Italia.

Il sistema bancario internazionale è al centro degli ultimi sviluppi finanziari. Come valuta attualmente l’appetibilità per gli investitori di questa asset class?
Giovannini: Ritengo che questo comparto non sia ancora appetibile; anzi, per la verità un interesse può esservi, quello di un investimento adatto a chi desidera strutturare un elevato picco di volatilità. La verità è che tutto ciò che ruota intorno a questo settore è ancora sulla carta e non si conoscono ancora le implicazioni effettive.
Dalle: L’appetibilità del settore finanziario non sembra essere migliorata dopo gli annunci della Riforma Obama. Il settore sta sottoperformando gli indici e a livello europeo risulta il peggiore da inizio anno. Nell’ambito di una logica “contrarian” può essere preso in considerazione per rimbalzi di breve periodo, ma permangono i dubbi sulla visibilità della profittabilità del settore che sembra essere strutturalmente in calo.

La commissione Camera-Senato americana ha dato il suo ok alla restrizione del “proprietary trading”: la Volcker rule restringe la possibilità delle banche di usare i depositi assicurati da fondi federali per la compravendita di asset a loro esclusivo vantaggio. Quale ritiene possa essere l’impatto concreto sui bilanci delle banche americane? Quali sono, a suo avviso, i nomi da evitare?
Giovannini: Ritengo che questo passaggio della normativa possa davvero creare una sorta di scrematura all’interno dell’intero settore; togliendo il paravento della speculazione si potrà davvero discernere tra quelle che sono le banche capaci di “sopravvivere” anche nella maniera tradizionale e quelle che invece fanno dell’attività non core la loro ancora di salvataggio. D’altra parte però va anche detto che questo trading ha aiutato il sistema a ricapitalizzarsi durante la crisi, indi potrebbero nascere diverse situazioni problematiche. Come spesso accade la soluzione è nel mezzo, tra chi dice che le banche non devono essere centrali di terrorismo dei derivati e chi invece le vuole esclusivamente commerciali.
Dalle: La Volcker rule in effetti sembra essere un punto di svolta nella prassi delle Investment Banks americane dove il proprietary trading risulta una delle componenti di profitto principali oltre ad assicurare sinergie fondamentali con tutti i desk di negoziazione. Le più impattate sono Goldman e Morgan Stanley che non a caso nel corso delle ultime settimane hanno iniziato un movimento correttivo significativo. Il percorso è solo all’inizio.
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