Ora che il peggio sembra alle spalle, una lezione da non scordare

I mercati spesso si aggrappano alle sensazioni più che ai numeri (che vanno comunque verificati ex post) e la sensazione che inizia a diffondersi è che il peggio per l’euro sia ormai alle spalle, come ha spiegato in un’intervista televisiva il premio Nobel per l’economia Robert Mundell, ammettendo che c’è una probabilità del 20% che Spagna, Portogallo o Irlanda possano ristrutturare il proprio debito pubblico, mentre per la Grecia la percentuale è pari al 40% e per l’Italia al 10%, ma aggiungendo che gli sforzi dei governi europei di riequilibrare i conti della finanza pubblica offriranno sostegno all’euro nei mesi a venire, ragion per cui il cambio euro/dollaro appare ormai su livelli più stabili che fino a qualche settimana fa.

 

Ma se le tensioni sui cambi e sul mondo dei bond vanno scemando, mentre le borse sembrano intenzionate a recuperare almeno il terreno perso nelle scorse settimane, ecco che l’appetito per il rischio torna a rialzarsi e forse qualcuno, sia tra gli emittenti  quotati sui principali listini azionari sia tra le grandi banche e gruppi finanziari di mezzo mondo torna a pensare che c’è spazio per tornare a fare operazioni di finanza straordinaria, anche a leva (sebbene in modo più prudente che in passato), così da preparare un nuovo “motore” che consenta ai risultati di continuare a crescere a ritmo serrato anche quando le attività di trading non genereranno più flussi di cassa e utili così generosi come hanno fatto (per chi ha saputo cogliere l’occasione) nei mesi passati.

 

Si spiegherebbe così il rifiorire di annunci, voci, indiscrezioni e rifiuti di operazioni di fusione e acquisizione un po’ in tutti i principali settori, dalle infrastrutture all’aerospazio, dai prodotti di bellezza a quelli del lusso, senza ovviamente trascurare il settore energetico e petrolifero. Annunci e indiscrezioni che contendono in queste ore l’attenzione degli investitori ai risultati trimestrali che con i numeri di Alcoa torneranno nelle prossime ore a condizionare l’andamento di Wall Street quanto e più dei dati macro cinesi o occidentali. In tutto questo c’è anche in Italia chi ne approfitta per riprendere o proseguire progetti finalizzati allo sbarco sul listino, mentre dal punto di vista degli investitori sembra tornare in auge la lezione di Peter Lynch, mitico gestore di fondi comuni degli anni Ottanta, che forte dei risultati ottenuti a capo dei fondi di Fidelity Investments ripeteva: se le cose iniziano ad andare meglio per una società, tutti vorranno averne i titoli.

 

Una lezione importante che non sempre in Italia è stata appresa da intermediari e clienti, visti errori anche clamorosi quanto a market timing e selezione di portafoglio compiuti negli ultimi trent’anni da gestori, promotori e risparmiatori. Anche se per qualcuno più che di errori si è trattato del risultato di un modello organizzativo aziendale e di settore inefficiente, che ci si augura sia ormai pronto a cambiare radicalmente sotto i colpi della maggiore concorrenza e dell’esigenza per tutti di trovare nuove leve competitive. Leve competitive che non possono evidentemente consistere solo nel prezzo e nei margini di guadagno dei singoli prodotti o servizi distribuiti. Voi che ne pensate? Attendiamo come sempre le vostre riflessioni qui.

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