Non facciamo confusione

di Gianfranco Cassol

Periodicamente si torna sul tema della cultura finanziaria dei risparmiatori. Si fanno indagini e si calcolano indicatori, scientificamente fragili, volti a valutare il livello di cultura finanziaria di chi investe e si afferma che in Italia è insufficiente. L’obiettivo di tale impegno è lodevole: aumentare le conoscenze finanziarie dei risparmiatori, così da migliorare le loro scelte di investimento. Ma la soluzione è inadeguata, perché il risparmiatore non avrà mai la cultura finanziaria, le conoscenze e la “mentalità” per investire con competenza. In sintesi si tratta del tentativo irrealizzabile di trasformare il risparmiatore in investitore, perché si tratta di una vera e propria mutazione genetica. Sono due realtà diverse che non possono essere fuse in una. La soluzione è: risparmiatore+operatore finanziario=investitore. Come si può pensare di fondere le due realtà del medico e del paziente? La trasformazione del paziente in medico, come quella del risparmiatore in investitore è una missione impossibile.
Nel libro del 2008 “Contro l’alfabetizzazione finanziaria”, la professoressa Lauren Willis, della Loyola Law School di Los Angeles scrive: “L’educazione finanziaria ha costi che superano i benefici, e finisce per aumentare la fiducia in se stessi, al di là dell’effettivo miglioramento delle proprie capacità di investitori”. In tal senso Daniel Kanhemann, premio Nobel 2002 per l’economia, parla di overconfidence degli investitori quando accedono al mercato finanziario e delle conseguenze dannose.
Jeremy Siegel della Wharton School, su tale tema scrive: “Una modesta conoscenza della finanza può fare più danni dell’ignoranza”. Paolo Legrenzi, docente di sociologia cognitiva dell’Università di Venezia dice: “L’idea di fornire ai risparmiatori l’educazione finanziaria necessaria ad adottare decisioni di investimento ottimali è pura presunzione. Anziché cercare di cambiare la testa delle persone si dovrebbe intervenire sull’architettura della scelta stessa, spingendo gli individui a prendere la decisione corretta attraverso piccoli interventi normativi” (Il Sole 24 Ore 19 gennaio 2010). Willis, in proposito, propone di concentrare l’attenzione sugli intermediari, che dovrebbero fornire strumenti di investimento semplici e chiari per ogni bisogno finanziario e tali da considerare la massima perdita sopportabile dai clienti.
Il professore Zvi Bodie, della Boston University, nel suo libro “Worry-free investing” (investire senza pensieri), evidenzia cosa effettivamente vuole il risparmiatore: “Non tanti discorsi complicati, formule… ma vuole capire”. E questo perché il risparmiatore sa di non sapere. Gli autori Lauren Willis, Daniel Kanhemann, Jeremy Siegel, Zvi Bodie, sono statunitensi, il che conferma che ovunque i tentativi di impolverare di nozioni finanziarie i risparmiatori, non ha prodotto gli effetti attesi e infatti gli investitori di tutti i Paesi, nonostante una ipotetica maggiore o minore cultura finanziaria, hanno venduto e comprato in maniera non conforme a quanto la cultura finanziaria stessa dovrebbe avere loro insegnato. Su Advisor di febbraio 2006, scrivevo: “se l’educazione del risparmiatore è dettata dal desiderio di fornirgli le basi per scelte oculate nell’impiego del suo denaro e per una sua consapevole capacità di tutela, è certo che la soluzione non potrà essere la preparazione specifica del risparmiatore in materia finanziaria. Anzi: voler formare il risparmiatore alla finanza crea un gravissimo problema pratico aggiuntivo. Se ho male e mi dicono che per guarire devo conoscere la scienza medica mi creano frustrazione perché so che non sarò mai un esperto in medicina. Se invece mi dicono che per il mio male è opportuno che mi rivolga all’Ospedale Benstai, mi sollevano il cuore, perché mi indicano il modo di trovare un’adeguata soluzione per la guarigione.

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