Il risparmiatore occidentale non ama più le borse

I listini azionari provano a consolidare il rally di inizio settembre, mentre le banche accelerano i tempi e lanciano rapidamente nuove emissioni obbligazionarie (in Italia dopo UniCredit e Banca Carige oggi è stata la volta di Banco Popolare e Mps) per approfittare il più possibile dei bassi tassi attuali. Tassi che in verità non paiono destinati a salire troppo presto visto che anche la Bce (che oggi come da attese ha mantenuto il tasso di riferimento sull’euro all’1% per il diciassettesimo mese consecutivo), come già la Federal Reserve, ha deciso di continuare a fornire il suo supporto al sistema creditizio.

In particolare, come ha riferito Jean-Claude Trichet, l’istituto continuerà ad offrire prestiti a una settimana e a un mese senza limite di ammontare fino al prossimo 18 gennaio. In più a ottobre, novembre e dicembre la Bce effettuerà nuovi prestiti a tre mesi indicizzati al tasso medio benchmark Bce di pari scadenza. Il tutto nella speranza di consolidare una ripresa che per ora resta legata quasi esclusivamente alle esportazioni e pertanto presta il fianco ad un’eventuale frenata dell’economia mondiale. Le decisioni odierne sono state prese “a maggioranza” e non all’unanimità ha aggiunto il numero uno di Eurotower, che ha poi precisato: “Restiamo prudenti e cauti e non cantiamo vittoria” per quel che riguarda la crisi economica, mentre “la politica monetaria farà tutto quanto è necessario per garantire la stabilità dei prezzi a medio periodo nell’area dell’euro”.

Intanto tra gli analisti si va facendo strada un sospetto: che il gradimento verso investimenti a basso rischio come quelli legati ai mercati obbligazionari potrebbe essere un fatto ormai strutturale e tale da porre fine al “mito” dei listini azionari, come hanno commentato in una nota gli uomini di Citigroup per i quali non basterà evitare il “double dip” perché la tendenza si inverta. Tra i tanti fattori che condizionano in particolare, ma non solo, il mercato americano gli esperti citano la modesta profittabilità delle borse (che in media hanno guadagnato il 4% dal 1999 ad oggi, pari ad un misero 0,3% annuo) rispetto ai ritorni offerti dagli investimenti in titoli obbligazionari (103% nel periodo, pari ad un robusto 6,9% annuo) e l’eccessiva volatilità (le borse nell’ultimo decennio hanno già registrato due mercati “orso” con perdite pari al 50%).

Il che non solo per gli investitori individuali ma anche per fondi pensione e gestioni collettive è un problema, specie nel momento in cui la popolazione (che nel dopoguerra investiva i suoi risparmi in prodotti con un profilo di rischio medio-alto viste le prospettive di crescita economica), invecchiando e volendo iniziare a godersi i frutti dei suoi risparmi (il che si traduce per un fondo pensione in una crescita della percentuale di iscritti che si trovano nella fase di distribuzione dei proventi, rispetto al numero di coloro che si trovano nella fase di accumulo) si sposta su strumenti a più basso rischio.

E voi che ne pensate, gli strumenti e servizi d’investimento del futuro saranno in prevalenza legati al mondo dei bond e dei fondi pensione, fatto salvo forse una nicchia rappresentata dagli investimenti sui mercati emergenti, o si stanno delineando nuove alternative per mandanti e promotori? Attendiamo come sempre le vostre riflessioni sulle pagine di Bluerating.
 

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