Continuare a scommettere sui bond può costar caro

Stimoli sì, stimoli no: mentre in America suscita reazioni gelide l’ultima proposta di Barack Obama di creare una “banca delle infrastrutture” sotto controllo pubblico con una capacità di spesa di 50 miliardi di dollari chiamata a coinvolgere i privati nell’opera di riammodernamento delle principali infrastrutture (autostrade, ferrovie e aeroporti) per cercare sia di riassorbire manodopera sia di creare le condizioni per una ripresa più duratura, in Europa i ministri delle finanze danno un sostanziale via libera alla proposta di arrivare al varo di nuove norme e soprattutto “sanzioni efficaci e credibili” in materia di gestione dei conti pubblici.

 

Nel frattempo le prospettive dell’industria del credito restano nebulose e dopo il varo della riforma voluta da Obama si assiste sempre più spesso alla delocalizzazione delle attività di trading proprietario verso l’Europa e contemporaneamente alla chiusura negli Usa dei trading desk, in particolare su materie prime e derivati (come per Jp Morgan e Goldman Sachs). In questo quadro la liquidità sui mercati resta abbondante ma continuano a mancare le condizioni perché venga stabilmente impiegata in nuovi investimenti, col risultato che ad ogni incertezza (oggi quelle sui titoli di stato irlandesi e contemporaneamente sul reale grado di esposizione degli istituti europei al rischio sovrano) tocca sempre alle banche centrali intervenire, come pare aver fatto oggi la Bce acquistando bond governativi dei PIIGS per sostenerne le quotazioni.

 

L’unica consolazione è che il mercato dei titoli di stato continua a segnalare bel tempo e prezzi stabili, con una differenza tra tassi a lunga e breve scadenza sempre meno marcata. Un equilibrio secondo alcuni precario, visto che prima o poi, tra il 2011 e il 2012 nella peggiore (ossia più recessiva) delle ipotesi, il costo del denaro si risolleverà dagli attuali minimi storici. A quel punto i più esposti saranno coloro che hanno preferito affidare i propri risparmi a strumenti obbligazionari, titoli di stato, corporate bond o fondi che siano. Come ricordava l’agenzia Bloomberg oggi, la duration media (ossia la durata finanziaria, ma anche la sensibilità dei titoli alle variazioni dei tassi) dei bond corporate è salita alla quota record di 5,69 anni a fine agosto. 

 

Nel tentativo di far fruttare i loro capitali gli investitori si spingono sempre più spesso alla ricerca di titoli a 10 o più anni, col rischio di future e repentine perdite quando i tassi dovessero salire. Bloomberg fa un esempio dei rischi che ormai si corrono a sottoscrivere questo genere di carta, il bond Telecom Italia 5,25% scadenza 2055, destinato a perdere il 6% per ogni aumento dei tassi dello 0,50% proprio a causa della duration estremamente elevata. Sarebbe interessante capire quale e quanta carta è ad oggi nei portafogli dei fondi obbligazionari, quegli stessi che così bene hanno fatto in termini di raccolta netta nelle ultime settimane. Scoprirlo ex post potrebbe rivelarsi molto pericoloso. E voi che ne pensate? Attendiamo come sempre le vostre opinioni sulle pagine di Bluerating.

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