Banche italiane: brave solo a distruggere valore?

L’ultimo report degli analisti del gruppo francese sulle banche italiane, non tenero (il titolo è tutto un programma: “Banche italiane, una storia di distruzione di valore”) è di quelli destinati a far discutere anche fuori dalle ovattate stanze delle banche d’affari.

 

Negli ultimi cinque anni i team manageriali delle banche italiane hanno avuto un debole track record in termini di creazione del valore rispetto al settore europeo con l’eccezione di Intesa Sanpaolo, secondo SocGen che poi precisa: dal 2005 a oggi la capitalizzazione corretta per le acquisizioni, gli aumenti di capitale, gli aiuti di stato, le cessioni e i dividendi distribuiti, è calata di 87 miliardi di euro (-52,7% in termini assoluti, -14% rispetto all’indice settoriale europeo).

 

Le “virtuose” (secondo banchieri e politici di casa nostra) banche italiane soffrirebbero più di altre l’attuale congiuntura economica perché essendo maggiormente legate ad attività tradizionali rispetto a molti concorrenti europei dipendono maggiormente dall’andamento dei tassi d’interesse (e dalla forbice tra tassi attivi e passivi, ossia dai maggiori costi applicati alla clientela rispetto a concorrenti esteri, aggiungiamo noi). Tanto che proprio il recente graduale incremento dei tassi Euribor sembrano aver iniziato a ridurre sia pure marginalmente la sottoperformance dei titoli bancari italiani rispetto ai loro concorrenti europei.

 

Al di là dei titoli preferiti da Societe Generale o da altre banche d’affari, il quadro è preoccupante, tanto più alla luce delle dichiarazioni dei vertici dell’Abi, solidali col ministro dell’Economia e Finanze Giulio Tremonti nel lanciare un anatema contro il ritorno della “speculazione” e degli avidi “banchieri d’affari” che riempiono di utili le casse dei propri istituti ai danni dell’economia reale. L’immagine evoca più gli untori di manzoniana memoria che una adeguata conoscenza del settore creditizio e finanziario mondiale ma è probabilmente figlia di un paese sempre meno aperto al nuovo sia culturalmente sia economicamente, in tutti i settori, una situazione che rischia di pesare ulteriormente sul lavoro di promotori e consulenti italiani.

 

E voi che ne pensate, davvero le banche italiane son brave solo a distruggere valore o hanno ragione banchieri e politici italiani a volerne difendere il modello culturale e operativo? Attendiamo come sempre le vostre riflessioni sulle pagine di Bluerating.

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