Wall Street offre ai contribuenti Usa rendimenti superiori ai T-bond

 La notizia è di quelle che probabilmente domani troverete (se troverete) nei trafiletti in basso delle pagine finanziarie dei quotidiani italiani, ma merita un approfondimento: investire in banche, assicurazioni e gruppi finanziari in difficoltà durante la crisi del biennio 2008-2009 si sta rivelando un affare per il Tesoro americano e dunque per tutti i contribuenti, a dispetto di chi temeva che i fondi del Tarp sarebbero al più serviti a riempire le tasche dei top manager di banche “troppo grandi per fallire” ma mai troppo generose nei confronti dei propri vertici, per quanto avventati e poco lungimiranti potessero essersi dimostrati.

 

Invece secondo un’analisi elaborata da Bloomberg pare che su 309 miliardi di aiuti erogati il Tesoro abbia già guadagnato 25,2 miliardi di dollari, pari ad un rendimento medio del 8,15%, superiore a quello ottenibile con qualsiasi altro strumento a basso rischio dai T-bond ai depositi ad alto rendimento, dai conti correnti ai fondi monetari. Nel frattempo la gran parte dei gruppi aiutati sta uscendo (o è già uscito) dallo stato di crisi e due terzi dei fondi a suo tempo prestati sono stati restituiti, anche grazie alla capacità di mostrata dai gruppi americani di fare il proprio mestiere, che non è solo quello di fare credito alle imprese o famiglie, ma anche di occuparsi, con successo, di risparmio gestito (come dimostrano i numeri della trimestrale di gruppi quali BlackRock) o intermediazione (vedasi Goldman Sachs).

 

Agli investitori italiani, ma anche ai promotori e consulenti più professionalmente validi, resta l’amaro in bocca, sia come contribuenti  sia come operatori, dato che non risulta che lo Stato italiano abbia mai guadagnato dalle centinaia di miliardi di euro “investiti” in questi ultimi decenni come aiuti di stato o incentivi a questo o quel settore (anzi in molti casi, come Alitalia per ricordare forse l’ultimo e più eclatante caso, dovendo trasformare in stanziamento “a fondo perduto” quelli che in origine dovevano essere prestiti) e che le banche italiane, sempre pronte a difendere il proprio “virtuoso e poco rischioso” modello (che magari pecca un po’ in termini di governance e di indipendenza dalle ingerenze politiche) e a criticare la “pericolosità” di certi comportamenti “speculativi” altrui, occupano da anni e non a caso gli ultimi posti in termini di efficienza e completezza dei servizi offerti alla clientela (per non parlare dei costi).

 

Così non resta che guardare ammirati ciò che accade in America, come fosse davvero un altro mondo. O pensate che sia possibile che dopo la crisi del 2008-2009 qualcosa cambi anche da noi, introducendo nuovi e più adeguati modelli di business e una migliore e più completa offerta di servizi? Attendiamo come sempre le vostre riflessioni sulle pagine di Bluerating.

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