Banche, quelle islamiche non conoscono la crisi

di Luigi Santovito

L’imperativo adesso è fare bene ed evitare quelle speculazioni  che hanno creato seri problemi al sistema, portando al fallimento di alcune realtà storiche e al calo di fiducia dei risparmiatori di tutto il mondo.
Una parte del mercato invece va a gonfie vele e mostra segnali di crescita a doppia cifra attirando l’attenzione degli operatori: la finanza islamica. Non si tratta solo di prodotti e regole nuove, ma di un’opportunità forte e reale per consolidare la collaborazione economica coi paesi del Golfo per accrescere gli scambi e cogliere opportunità di investimento e finanziamento, come ad esempio può avvenire coi “sukuk”.
La finanza islamica rappresenta il segmento dell’industria finanziaria col più alto tasso di crescita in assoluto ed entro il 2015 potrebbe superare i 4 miliardi di dollari di attività a fronte di oltre 1,5 miliardi di risparmiatori potenziali.
Una realtà che tocca da vicino l’Italia per la posizione strategia nel mediterraneo e perché tale tipo di finanza può sostenere lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Le aziende devono aprirsi alla sponda sud del mediterraneo e provare un ‘integrazione sul territorio.

Uno strumento con forti potenzialità è di sicuro il “sukuk”, un certificato di stipendio conforme alla Sharia (la legge islamica tradizionale) che proibisce il prestito ad interesse e quindi l’usura. E’ una sorta di obbligazione  che a differenza delle obbligazioni non comporta un prestito e interessi da corrispondere a scadenze prestabilite, ma a fronte del denaro messo a disposizione vi è un progetto determinato, che può essere un nuovo progetto immobiliare o infrastruttura di cui si assume una quota parte. Un prodotto legato fortemente all’economia reale, perché il profitto corrisponde ai guadagni che il progetto potrà generare. In Italia ad esempio, tramite la Simest (una società pubblica che assiste le imprese italiane all’estero), il Ministero dello Sviluppo Economico sta lavorando a fondi di venture capital (destinati alla realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture con lo stesso principio del sukuk) compatibili con la Sharia per attirare investimenti nel nostro Paese e in Europa.

L’Italia è rimasta purtroppo indietro nel processo di sviluppo del fenomeno della finanza islamica che negli ultimi 4 anni è crescita del 30%, con asset intermediati di 1000 miliardi. Infatti, nonostante una presenza forte di migranti musulmani, non vi è un’offerta di prodotti sharia compliant e non sono stati ancora avviati i necessari processi per l’adeguamento legislativo. Il termine sharia compliant è impegnativo, soprattutto se riferito ala finanza che in occidente è fatta di carta. La finanza islamica è diametralmente opposta alla finanza cartolare: vige l’obbligo di preservare un collegamento forte tra strumento finanziario ed economia reale e gli eccessi della speculazione sono banditi sul nascere. Si tratta spesso di prodotti ibridi tra bond ed equity, la logica di un prodotto sharia compliant prevede una partecipazione utili/perdite, una condivisione dei rischi, la presenza nelle banche di uno Sharia Board per il rispetto delle leggi islamiche e la segregazione degli asset islamici da altri tipi di attivi.

Il tema della finanza islamica è nuovo per il mercato italiano ed europeo in generale, fatta eccezione la Gran Bretagna e pone delle problematiche operative di cui tener conto: ad esempio il set di regole a cui fanno riferimento le banche convenzionali che per operare nel nostro paese hanno dovuto ottenere la licenza rilasciata dalla Banca d’Italia. Non ci sono solo ostacoli normativi, ma legislativi veri e propri e a tal proposito è il Parlamento che deve intervenire per le disposizioni necessarie dando l’avvio a quella che è  e sarà un’opportunità forte di rapporto coi paesi musulmani e arabi in particolare.
Bisogna delineare il modello di banca applicabile: banca islamica tout court o banca d’investimento islamica, ovvero banca retail che raccoglie risparmio e lo impiega verso soggetti prevalentemente musulmani offrendo prodotti shari’a compliant oppure banca d’investimento che raccoglie fondi nei mercati con eccesso di liquidità, come nei paesi paesi del Golfo, e li impiega a favore delle imprese.
Il modello più facile, almeno all’inizio, sembra essere il secondo anche perché negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento dei flussi finanziari transfrontalieri e ad un’internazionalizzazione della finanza islamica.

A dimostrazione della dimensione del mercato finanziario islamica va ricordato che il tasso di crescita medio annuo del sukuk si aggira intorno al 40%, con il 90% delle emissioni provenienti dal settore societario, pertanto non si tratta solo di strumento interessante per gli investitori, ma anche di mezzo competitivo per il reperimento di finanziamenti a lungo termine.

Va precisato che col termine banca islamica non ci si riferisce all’istituto di credito con sede nei paesi islamici né alle loro filiali operanti all’estero, ma solo alla banca che nello svolgimento della sua attività applica rigorosamente i dettami e precetti contenuti nella Shari’a.
Dal punto di vista operativo, questo sistema bancario si basa sulla proibizione del tasso di interesse e sulla condivisione del rischio nei rapporti tra banca, destinatario del finanziamento e risparmiatori. Con l’applicazione del metodo del profit and loss sharing (compartecipazione nei profitti e nelle perdite), la remunerazione dei depositi bancari e degli investimenti bancari non è legata alla dimensione temporale, ma è determinata in relazione agli utili  o alle perdite dell’operazione finanziata.

La finanza islamica è caratterizzata dall’operato dello Shari’a Board che è responsabile di certificare la coerenza dell’operatività della banca, dei servizi e prodotti offerti valutandone sia la natura giuridica che l’impatto sociale coi precetti islamici. Allo stesso organo di esperti compete fornire pareri legali ai quali la banca deve sottostare, ed emettere un giudizio complessivo sull’andamento finanziario annuale della banca.
In pratica una concezione del tutto diversa dalle banche occidentali, un forte rapporto tra attività economica e religione che vieta inoltre prodotti e strumenti legati alla speculazione e all’incertezza come futures, opzioni e strumenti derivati.
L’impatto della finanza islamica è sicuramente forte e dovrà scontare ostacoli soprattutto sul fronte normativo e legislativo, ma appare un toccasana per i mercati mondiali che, nonostante le iniezioni di liquidità, non riescono a riguadagnarsi la fiducia dei risparmiatori. Con rendimenti molto bassi, con valori prossimi allo zero, le banche occidentali potranno utilizzare strumenti come il sukuk allo scopo di intercettare la liquidità in eccesso e utilizzarla come motore per l’economia reale. Infatti, i sukuk sono stati spesso chiamati in causa come possibile strumento per finanziare il ponte sullo Stretto o la prossima edizione dei campionati mondiali di calcio del 2014.
La propensione al ricorso di strumenti asset-based sembra essere la strada giusta per una crescita sostenibile e per raggiungere una situazione di equilibrio tra equità e sviluppo. Dobbiamo attendere con favore l’introduzione a breve della moneta unica del Consiglio di Cooperazione, denominata Khaleeji. La nuova moneta può favorire la stabilizzazione finanziaria dei Paesi che la adotteranno, rafforzando i capitali arabi sganciandoli dal dollaro, e può dotare la finanza islamica di uno strumento in più per effettuare i propri investimenti reali al riparo da forti oscillazioni tra i tassi di cambio, verificabili soprattutto nei momenti di crisi globale.

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