Il consulente è fragile

di Silvio Bencini

Il documento di consultazione diffuso dalla Consob sulle “Modifiche alle disposizioni in materia di Albo e attività dei promotori finanziari” contiene una proposta di modifica del settimo comma dell’articolo 108, che oggi prevede il divieto per il promotore di “utilizzare i codici di accesso telematico ai rapporti di pertinenza del cliente o del potenziale cliente o comunque al medesimo collegati”. La modifica intende consentire l’accesso a condizioni molto stringenti: deve essere previsto dal contratto, il cliente deve ogni volta autorizzare l’accesso per iscritto, l’intermediario deve poter accertare l’utilizzo e i codici devono ogni volta essere disabilitati. Fabrizio Tedeschi, ex dirigente della Consob, su Soldi del 28 ottobre coglie lo spunto di questa proposta per sollevare due temi delicati: la posizione più favorevole in cui si trova il promotore rispetto al consulente finanziario, che con questa norma sarebbe accentuata; la realtà di un mondo di promotori, consulenti e private banker che sono di fatto gestori dei loro clienti. È probabile che l’intento della Consob sia opposto a quello che teme Tedeschi. Regolando rigidamente la possibilità per il cliente di dare i suoi codici di accesso al promotore la Consob ha modo di confermare il divieto per il promotore di utilizzare questi codici in qualsiasi altro modo, anche d’accordo con il cliente. Ma il problema sollevato è reale. Il consulente finanziario indipendente non ha ancora trovato una sistemazione normativa, ma è più fragile operativamente rispetto al promotore. Il promotore dispone di maggior flessibilità nella remunerazione, perché può percepire, anche in un ambito di consulenza, retrocessioni sui prodotti venduti; il promotore può dare immediata esecuzione alle operazioni consigliate, perché può offrire anche i servizi di raccolta ordini e collocamento. D’altro canto esistono numerosi accorgimenti che consentono di esercitare la professione di promotore in modo pressoché indistinguibile da quella del consulente indipendente. Anche quello della “gestione di fatto” è un problema reale e diffuso in tutti i casi in cui il rapporto fiduciario fra cliente e consulente è più stretto.
Nella forma meno organizzata il fenomeno si traduce in montagne di ordini non firmati che i private banker tengono in attesa di incontrare i clienti, con rischi evidenti per gli operatori e i private banker. Spesso queste situazioni nascono da un’interpretazione del servizio di consulenza dove un’operatività frequente sostituisce la mancanza di idee strategiche su cui costruire programmi di investimento degni di questo nome. Dove le dimensioni lo giustificano si assiste a linee di gestione costruite ad hoc per soddisfare l’esigenza di questo o quel private banker o promotore, o gestioni patrimoniali “personalizzate”, dove la personalizzazione si realizza nel fatto che il cliente parla direttamente con un addetto della struttura di gestione e condivide i movimenti del suo portafoglio. In tutti questi casi il problema è conciliare queste “individualità” con l’obbligo per l’intermediario di consentire la tracciabilità di tutto il processo di investimento.
Vi è poi il mondo di chi si trasforma in gestore prestando la sua consulenza più o meno esplicita a qualche intermediario (estero, più che altro) che a sua volta gestisce un patrimonio presso una banca. Nell’attesa di cambiamenti normativi, alcuni operatori cercano di favorire il lavoro del consulente indipendente facilitando al massimo il passaggio dal momento della raccomandazione a quello dell’esecuzione. Se il consulente fa aprire al cliente il conto sulla stessa banca il cliente vede le raccomandazioni e accettandole le trasforma automaticamente in ordini. A sua volta il consulente è informato del fatto che le sue raccomandazioni sono state eseguite. Un’ulteriore evoluzione di questo è la possibilità per il consulente di far ospitare la propria strategia di investimento presso una piattaforma di trading dove altri possono chiedere un’operatività di acquisto e vendita che ne imiti perfettamente i segnali. Chi mette a disposizione la strategie viene così remunerato per il servizio di consulenza, e nello stesso tempo chi sceglie di seguirla è sollevato dall’onere operativo di inserire i singoli ordini. Tedeschi sostiene che “una simile matassa non può che essere sciolta dal legislatore con una legge, che legittimi una nuova figura: quella del gestore individuale”. Si tratta di una proposta in controtendenza rispetto allo spirito dell’evoluzione normativa della MiFID, ma che costituisce una pratica diffusa nella patria del private banking, e cioé la Svizzera, e che certamente darebbe alla figura del consulente indipendente ben altra completezza di ruolo. L’esperienza svizzera mostra anche come la figura del “gestore indipendente” non contrasti nè con l’esigenza di protezione dei clienti, nè con l’interesse della banca.

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