Promotori – Se potessi avere 1000 euro al mese

di Luca Spoldi

I 200 euro di contributi annuali per l’Albo dei promotori e la Consob sono solo la punta dell’iceberg, rappresentando una modesta componente di costo fisso per una professione che per sua natura presenta un’abbondanza di costi variabili destinati a incidere nelle tasche dei professionisti del settore. Ma quali sono e quanto incidono le principali voci di costo fisso e variabile per un promotore italiano? Molto dipende, naturalmente, dal portafoglio di ciascuno e dai livelli provvigionali accordati dalla singola mandante al promotore, ma è possibile provare a ragionare su qualche numero per avere una fotografia abbastanza realistica dello stato del settore. Iniziamo col dire che gli oltre 56 mila promotori iscritti all’Albo unico (ma di questi poco più di 36.600 a fine 2010 risultava essere in possesso di un mandato) risultano, secondo gli ultimi dati resi noti dall’Albo medesimo, avere circa 4,1 milioni di clienti in tutta Italia a cui fa riferimento poco più del 6,5% degli asset finanziari dei risparmiatori italiani, per un totale a fine dicembre scorso di 236,3 miliardi di euro (secondo quanto certificato da Assoreti), in gran parte (72,8%) rappresentato da strumenti di risparmio gestito. Facendo i conti della serva vorrebbe dire che mediamente un Pf italiano “attivo” (ossia con mandato) si troverebbe a gestire un portafoglio di un centinaio di clienti (112 per l’esattezza), cui farebbe capo un patrimonio di poco inferiore ai 6,5 milioni di euro.

Numeri che chiaramente varieranno di molto a seconda che il professionista in questione abbia appena iniziato l’attività o abbia da anni consolidate relazioni con decine di clienti più o meno facoltosi. In un dibattito apertosi sulle pagine di Bluerating.com molti promotori finanziari hanno contestato che a fronte di un portafoglio ipotetico di 10 milioni di euro (20 miliardi delle vecchie lirette) si riescano a generare 60 mila euro l’anno o più di provvigioni (pari allo 0,6% del patrimonio di riferimento), o meglio alcuni hanno detto che è forse possibile fatturarle ma certo si debbono intendere provvigioni lorde e non guadagno netto e qualcuno ha parlato di cifre che per essere realistiche dovrebbero essere molto più basse, intorno ai 32 mila euro (ci auguriamo si intendessero nette, in questo caso, essendo pari allo 0,32% del patrimonio di riferimento, meno persino di quanto frutterebbe lasciare tale somma in liquidità, visto che l’Euribor oscilla ormai tra lo 0,91% a un mese e l’1,95% a un anno) per un portafoglio sufficientemente diversificato e di rischio medio-basso, sui quali le provvigioni tendono a scendere rispetto a chi collochi prevalentemente prodotti assicurativi o fondi e gestioni a più elevato profilo di rischio. A fronte di tali provvigioni oltre ai 200 euro di quota annuale agli albi un Pf mediamente pagherà attorno almeno ai 200 euro al mese tra contributo per l’uso dell’ufficio e telefonate (e se ne vanno almeno altri 2.400 euro), più i contributi Inps (il 26,72% delle commissioni lorde con un minimale annuo di 2.879 euro) ed Enasarco (il 6,75% delle provvigioni lorde a carico del Pf, con un minimale di 789 euro se inquadrato come agente monomandatario) e la tassazione Irpef (23% del reddito imponibile per chi guadagna meno di 100 mila euro annui). Nel caso in cui il promotore riesca a guadagnare effettivamente lo 0,6% un portafoglio “medio” di 6,5 milioni di euro genererebbe 39 mila euro di commissioni e quindi 10.420 euro di contributi da versare all’Inps, 3.632 euro da versare all’Enasarco e circa 5-6 mila euro di tasse. Al nostro ipotetico Pf resterebbero in tasca 16.500- 17.500 euro circa (equivalenti a scarsi 1.500 euro netti mensili). Se poi ai 6,5 milioni si applicassero provvigioni attorno allo 0,32%-0,35% (ipotizziamo già al netto del prelievo fiscale), il flusso provvigionale si ridurrebbe a poco più di 22 mila euro annui, che togliendo spese e contributi vari (2600 + 5878 + 1485= 9963 euro in tutto) si ridurrebbero a non più di 12 mila euro annui, giusto mille euro al mese. L’ennesima riprova che a fronte della pressione sui margini che ha portato tutti i principali gruppi a tagliare le provvigioni sui prodotti sia dell’amministrato sia del gestito (e dell’assicurato) se non si vuol stravolgere i portafogli della clientela collocando solo prodotti costosi o ad elevato grado di rischio l’unica strada è quella di riuscire a intercettare una percentuale maggiore del risparmio privato e dunque far crescere i patrimoni di riferimento, ove possibile evitando di far lievitare il numero di clienti sottostanti per non aumentare nuovamente i propri costi operativi.

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