Promotori – Pro e contro di un nuovo contratto

di Luca Spoldi

C’erano una volta gli agenti di borsa, i consulenti finanziari per pochi facoltosi investitori privati, i soliti “ben informati” che passavano qualche “dritta” su come far fruttare in borsa o grazie a qualche bond (governativo o societario) i capitali degli amici. L’introduzione della figura professionale del promotore finanziario, la creazione dell’albo e delle relative procedure per accedervi, la previsione di requisiti di professionalità e onorabilità sembravano aver cambiato per sempre quel mondo, restringendo di molto l’ambito della consulenza a favore di un’attività di collocamento di prodotti e servizi finanziari fuori sede. Ma negli ultimi anni, anche sotto la spinta della Mifid, la consulenza è tornata a crescere dapprima come attività accessoria e non più sottoposta a vincoli regolamentari e normativi, poi entro ben precisi paletti ed ora con l’ulteriore impulso che verosimilmente deriverà dalla nascita dell’Organismo di gestione dell’Albo dei consulenti finanziari italiani e dall’emanazione di norme e regolamenti per accedere all’albo medesimo e svolgere l’attività di consulente indipendente, o “fee only”, distinta da quella “tied agent” ossia i servizi di consulenza in materia d’investimenti svolta già oggi dai promotori finanziari.

Un’evoluzione che per alcuni potrebbe richiedere un superamento del quadro giuridico che lega la figura professionale del promotore ad un contratto, quello d’agenzia, nato storicamente per inquadrare l’attività degli agenti di commercio, dunque di professionisti dediti esclusivamente ad un’attività di collocamento di beni e servizi (non necessariamente d’investimento). Un modo, forse, per innovare fin dal nome una professione che sta mutando rapidamente in questi ultimi anni anche grazie all’adozione sempre più estesa dei modelli di “architettura aperta” che hanno portato le principali reti distributive ad offrire centinaia quando non migliaia di prodotti o servizi d’investimento ai propri clienti, dovendo sempre più assistere il cliente stesso nel momento in cui si tratta di valutare quale prodotto sia quello più adatto alle proprie esigenze, siano esse di ottenimento di credito, di protezione di un patrimonio, di ottenimento del più elevato ritorno possibile per i differenti profili di rischio o anche di garantirsi una tranquillità dal punto di vista previdenziale o assistenziale, oltre che assicurativo in genere. I promotori, insomma, stanno tornando ad essere sempre più consulenti e sempre meno (in proporzione al tempo e alle entrate provvigionali) venditori puri. Ma se qualcuno giudica sia tempo di cambiare, altri avvertono: attenzione a mutare il riferimento giuridico solo per cercare di ottimizzare uno “sforzo di marketing”, il contratto d’agenzia ha una sua ragione d’essere tuttora valida e se proprio si vuole è meglio innovare tale fattispecie giuridica o meglio integrarla, che non mandarla in soffitta in cambio non si sa bene di cosa. 

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