Tutte le novità dal Tribunale di Torino

Di Fabrizio Tedeschi

Il tribunale di Torino, nel primo semestre di quest’anno, si segnala per due sentenze veramente innovative in relazione a buona parte della giurisprudenza, senza peraltro discostarsi dai principi indicati in sentenze precedenti. Le motivazioni sono svolte sulla base di argomentazioni oggettive in un caso e quindi facili da applicare, in modo più soggettivo e difficile da dimostrare in un secondo caso, nel quale però alla fine si dà ragione al cliente e non alla banca; in qualche modo quindi la motivazione di quel punto non è così importante nel complesso dell’economia processuale. Nella prima fattispecie esaminata, era accaduto che il cliente invocasse la nullità del contratto quadro, poiché egli non aveva e la banca non riusciva a recuperare la copia con la firma dell’istituto di credito.
È giurisprudenza consolidata che in questi casi la sanzione di nullità colpisca il contratto e quindi tutto si abbia come non avvenuto. È però accaduto che il cliente avesse chiesto la nullità dei soli investimenti con esito negativo per lui, sfruttando al massimo la facoltà attribuitagli dalla legge di chiedere la nullità del contratto privo di prova di forma scritta; in breve chiedeva la nullità delle sole operazioni dove perdeva. Il giudice ha deciso di interpretare in modo restrittivo la nullità relativa (solo il cliente può farla valere) e ha ritenuto che il comportamento del cliente fosse scorretto, in quanto volesse godere i frutti positivi del contratto di cui invocava la nullità scaricando sulla banca le operazioni in perdita.
Il giudice ha ritenuto scorretto e in mala fede e quindi non degno di tutela da parte dell’ordinamento il comportamento del cliente e non ha accolto la sua richiesta di annullare le sole operazioni in perdita. Diversamente, è da presumere, avrebbe deciso se il cliente avesse chiesto la nullità di tutte le operazioni concluse in base al contratto nullo.La sentenza è importante perché stabilisce un principio di buona fede e correttezza a carico del cliente che non può abusare della posizione di vantaggio che gli conferisce la legge, il quale, proprio perché favorito dalla norma, deve tenere un comportamento corretto. Più difficile è la fattispecie della seconda decisione, dove il tribunale ha stabilito che la forma scritta del contratto non è necessaria laddove il cliente non invochi una carenza di informazioni o comunque un’irregolarità a suo discapito.
Se le informazioni e le altre procedure di correttezza e di organizzazione della banca non gli hanno arrecato alcun danno, egli non può invocare la nullità del contratto. I principi sono di più difficile applicazione che non nel caso precedente, ma bisogna anche tenere presente che la sentenza è molto formale e scarica una buona parte di responsabilità sulla mancanza di indicazioni di danni nello specifico da parte del cliente, il quale troverà però soddisfazione integrale nel merito del procedimento per le operazioni inadeguate compiute.
Al di là del merito, ovviamente sempre discutibile, le sentenze vanno s e g n a l a t e p e r avere infranto il tabù della rigida applicazione del criterio della nullità relativa, sempre e solo a favore del cliente. In particolare la prima è da apprezzarsi per il richiamo a principi di correttezza e di lealtà che spesso sono dimenticati anche in sede processuale. Soprattutto finalmente è imposto anche agli investitori di essere corretti e trasparenti e questo, è da presumere, non solo in sede processuale, ma anche prima e durante e dopo la vita del contratto d’investimento. Entrambe le sentenze riportano poi il fulcro della decisione nel merito di quanto è accaduto e non solo nel formalismo giuridico.
D’ora in avanti, se tale principio troverà conferma, la nullità del contratto quadro potrà essere invocata solo da chi, nel complesso del rapporto, ha un risultato negativo dato dalla somma algebrica di utili e perdite di tutte le operazioni compiute.

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