Se la Fed fa da banca mondiale

Il fatto è noto e commentato. Alcuni aspetti però non sono stati approfonditi: lo stupore per una simile notizia ha generato più emotività che una corretta analisi. È accaduto che una commissione parlamentare statunitense, esaminando il lavoro della FED, abbia rilevato che questa abbia “erogato” una cifra spaventosa, superiore al PIL, (16 trilioni di dollari) a istituzioni bancarie e finanziarie in crisi di tutto il mondo, di fatto ha evitato il loro fallimento. Per l’esattezza si tratta di 16,115 trilioni: frutto di calcoli complessi; l’entità della somma effettivamente impiegata è notevolmente inferiore, ma sempre di tutto rispetto: 1,2 trilioni. Ci sono le maggiori banche americane, alcune europee (anche italiane), istituzioni brasiliane, sudcoreane, svizzere, messicane, di Singapore, etc. Insomma il banchiere centrale americano ha fatto ben più del presidente degli USA.

Ormai i giochi sono fatti e a quanto pare bene, perché i quattrini sono rientrati in buona parte all’ovile senza perdite. È ancora in piedi una dozzina di situazioni, ma dovrebbero scadere entro l’anno prossimo. La vicenda si presta a riflessioni e non solo di merito. La prima riguarda la trasparenza della FED. Una simile informazione è estremamente riservata e non avrebbe mai dovuta essere divulgata secondo i vecchi schemi, ma negli USA è stata approvata una legge che svincola i documenti della FED dal segreto dopo un paio di anni. Ecco allora che la commissione ha potuto prendere visione della documentazione e stilare la propria relazione (molto critica).

La trasparenza amministrativa, quella vera e completa che consenta a ogni cittadino di accedere a tutti i documenti dell’amministrazione senza eccezione e senza altro interesse se non quello di controllare come si comportano i pubblici funzionari, poteva essere uno dei punti di forza e di rilancio della nostra “manovra”. È evidente che laddove il funzionario pubblico si trovi sotto l’esame del pubblico e del mercato tenderà a comportarsi e a dare di sé la migliore immagine possibile. Non si è avuto il coraggio di introdurre una simile norma in Italia e ne pagheremo le conseguenze, perché la burocrazia manterrà tutta la sua opacità e non sarà ridotta la sua influenza. Altro punto importantissimo è l’autonomia del banchiere centrale. Questi crescono nel culto della riservatezza e della loro indipendenza da ogni tipo di condizionamento, specie da quello politico.

E questo è sacrosanto. Le decisioni che ha dovuto prendere Bernanke sono di contenuto politico e da qualche parte devono rendere conto agli strumenti della democrazia. In breve, il presidente Obama ha dovuto lottare con i bevitori di tè repubblicani per strappare loro qualche concessione (molto scarsa) sul debito pubblico, mentre la FED concludeva operazioni di salvataggio in tutto il mondo, nell’interesse del proprio paese, ma al di fuori di ogni controllo, se non quello che, a distanza di due anni, la raggiunge ora. Sul punto una riflessione è necessaria.

Non è possibile lasciare nelle mani di chi non è controllato da nessuno, almeno ex ante, la gestione di situazioni così importanti. Il problema sembra quasi senza soluzione, perché è impossibile pensare a un banchiere centrale che non sia iperriservato e indipendente. La crisi ha portato alla luce anche questo aspetto: non si può lasciare sulle spalle di un solo uomo, per quanto capace, la gestione di situazioni così critiche. Un ultimo rilievo meritano i signori banchieri. La cifra impiegata per il salvataggio delle loro creature è enorme, i rischi che ha corso (e sta ancora correndo) il sistema sono spaventosi.
Eppure da parte loro non si è levato nessun mea culpa o semplicemente il silenzio. Hanno continuato imperterriti a fare le loro operazioni in tutto il mondo e a portare a casa le loro robuste prebende. Un po’ più di buon senso sarebbe stato necessario e, in questo caso, anche una maggiore riservatezza.

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