Ubi PI, la crisi spinge alla prudenza

Ubi Banca Private Investment è nata il primo gennaio 2008 dalla fusione tra Ubi Sim e Banca Lombarda Private Investment, entrambe controllate di Ubi Banca, gruppo bancario a capo di una rete di quasi 2.000 filiali e oltre 4 milioni di clienti, per occuparsi delle esigenze della clientela privata attraverso una rete di professionisti qualificati (promotori finanziari e private banker) in grado di proporre una gamma completa di prodotti e servizi, da quelli più tradizionali alle soluzioni più innovative per gli investimenti, la previdenza o il finanziamento dell’acquisto della casa. Partita con grandi ambizioni e con masse patrimoniali di partenza di quasi 7 miliardi di euro, inizialmente la rete puntava ad arrivare a 1.300 consulenti e 9 miliardi di euro di patrimonio entro la fine del 2010: numeri che la crisi del 2008-2009 prima e quella del debito sovrano europeo quest’anno ha reso assolutamente irraggiungibili.

Anzi, anche Ubi Private Investment come altre realtà ha subito un notevole “dimagrimento” rispetto ai valori di tre anni orsono: se al momento della fusione erano presenti quasi mille promotori finanziari (429 ex Ubi Sim e 568 ex Blpi), ad oggi la rete ha perso circa un quarto dei suoi componenti, mentre il patrimonio complessivo tra gestito e amministrato si trova un 28% abbondante sotto i livelli di partenza (all’epoca abbastanza ben distribuiti con 3 miliardi facenti capo alla rete di Ubi Sim e 4 miliardi a quella di Blpi).

Sulla carta sono rimaste anche le potenziali acquisizioni che il gruppo non escludeva inizialmente, dopo aver in passato rilevato (con Blpi) sia Banca Idea sia la rete del Banco Desio: in questo caso ha pesato certamente il progressivo innalzamento dei requisiti patrimoniali richiesti alla capogruppo come a tutte le maggiori banche europee in questi anni e più recentemente la necessità di utilizzare i mezzi raccolti con bond convertibili e aumenti di capitale per mettere in sicurezza il funding, più che per imbarcarsi in nuove operazioni straordinarie. Anche perché, forse, più che la volontà è mancata un’occasione “giusta” soprattutto sotto il profilo del prezzo oltre che della qualità delle potenziali prede. Banca Idea, per ammissione degli allora vertici di Blpi, venne pagata il 2% delle masse, da allora tuttavia prima sono saliti i prezzi, poi si è deteriorata la qualità di molte strutture. Per un gruppo prudente come Ubi Banca è dunque sembrato meglio restare alla finestra che fare un passo più lungo della propria gamba e visto quel che è successo in questi mesi sui mercati non si può certo dargli torto.

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