Pf, i più grandi dominano in provincia

Un viaggio lungo otto mesi. Era metà giugno quando BLUERATING iniziava un “giro d’Italia” virtuale che l’ha portato a raccontare le maggiori reti di promozione finanziaria viste a livello locale: prima con uno sguardo regione per regione, poi con un focus rivolto alle principali città italiane. È stato un viaggio lungo, ricco di spunti e di scoperte. Adesso è giunto il momento di trarre qualche conclusione che consenta una lettura d’insieme di quanto emerso dalle nostre analisi. La prima constatazione, forse ovvia per gli addetti ai lavori, è che anche all’alba del ventunesimo secolo l’Italia resta un Paese (e un mercato) tutt’altro che omogeneo.

I 54.358 promotori finanziari iscritti all’Albo (di cui 20.148 privi di un mandato e 34.210 pienamente operativi secondo gli ultimi dati che emergono dalla lettura dell’Albo stesso) equivalgono sulla carta a un promotore (attivo) ogni circa 1.770-1.800 residenti italiani, un bacino di potenziali clienti davvero molto vasto anche volendo eliminare ragazzi e anziani. Ma la realtà è molto differente. Nelle regioni e nelle grandi città del nord (Lombardia e Milano in primis), ma anche del centro (Lazio e Roma certamente, ma pure le Marche), ogni promotore ha potenzialmente a disposizione un numero inferiore di potenziali clienti, di reddito peraltro mediamente più elevato del dato generale italiano. L’opposto accade in provincia e nel Mezzogiorno, dove il numero di promotori si fa più esiguo in rapporto alla popolazione locale. Un problema che solo in parte sembra legarsi al differente quadro economico in termini di patrimoni e di flussi reddituali.

In questo senso, anzi, le statistiche della Banca d’Italia mostrano economie regionali che, pur riflettendo situazioni storiche molto differenti tra loro, stanno sostanzialmente rispondendo in maniera univoca agli impulsi esterni – positivi o negativi che siano – e si avvia dunque sia pure lentamente verso una maggiore uniformità. In parte, comunque, pare dipendere dalla diversa cultura e dalla vocazione economica dei territori. Da quanto emerso, sembrerebbe anche che tra le varie reti esistano approcci differenti per quanto riguarda la dislocazione delle forze in campo: le reti maggiori, specie se apparentate a un gruppo bancario, tendono a essere più omogeneamente distribuite sull’intero territorio nazionale, senza mostrare una particolare predilezione per le grandi città capoluogo di regione (o per lo meno non mostrano tale predilezione i loro promotori finanziari, a livello di residenza).

Per le reti di dimensioni minori, l’espansione territoriale avviene attraverso un processo di crescita quasi sempre per vie esterne, con l’ingresso di nuovi professionisti cui viene dato l’incarico di curare un territorio in cui la mandante non era presente in precedenza. In questi casi, molto spesso si nota una presenza più numerosa di promotori finanziari nelle grandi città, probabilmente perché è più facile coprire i costi fissi e variabili legati all’apertura di un nuovo ufficio laddove i volumi di attività sono potenzialmente più elevati o dove non occorre disperdere le forze in una dispendiosa operatività a contatto con una clientela più dislocata sul territorio. Confrontando i dati emersi tra giugno e ottobre (quando abbiamo aggregato gli stessi su base regionale) con quelli registrati tra novembre e febbraio (quando siamo tornati a elaborarli sulla base delle singole province), emerge come continui il calo di iscritti all’Albo dei promotori finanziari (nonostante l’ingresso di forze fresche non manchi), in modo sostanzialmente omogeneo tra pf con mandato e pf senza mandato ma con accenti più o meno rilevanti a seconda delle regioni e delle singole città esaminate.

Quanto alle reti che fanno capo a intermediari finanziari esteri, solitamente la distribuzione dei promotori finanziari è ancora più contratta sia a livello territoriale sia per segmento di mercato: chi sfoggia un biglietto da visita di qualche importante gruppo internazionale, sia esso un “supermarket finanziario” o una “boutique”, di solito opera nelle aree Nielsen 1 e 2 (quindi nord ovest e nord est d’Italia) o al limite nell’area 3 (centro), concentrando la propria presenza nei capoluoghi di regione. Sono naturalmente possibili le eccezioni, anche perché nulla vieta a un banker che risiede a Milano, Roma o Trieste di curare attentamente gli interessi magari di un piccolo imprenditore le cui attività sono localizzate in provincia. La sensazione, però, è che per un operatore estero l’Italia resti un mercato interessante nel quale tuttavia selezionare solo le situazioni potenzialmente più redditizie, senza per questo dovere o volere effettuare investimenti estesi sull’intero territorio nazionale.

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