Mps, Bankitalia: i Tremonti bond erano l’unica via

MPS E I TREMONTI BOND – Meglio i Tremonti bond che un eventuale intervento diretto dello Stato nel capitale di Mps, intervento che “sarebbe stato percepito come una vera e propria nazionalizzazione e avrebbe rischiato di produrre effetti depressivi sul prezzo delle azioni in circolazione, con un impatto rilevante non solo sugli attuali azionisti di controllo, ma anche su investitori istituzionali e piccoli azionisti”. Questo è quanto si legge nel testo dell’audizione alle commissioni bilancio e finanze del Senato tenuta a Roma martedì 10 luglio da Luigi Federico Signorini, direttore centrale per la vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia. Tema, la conversione in legge del decreto numero 87 del 27 giugno, contenente tra l’altro “misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario”.

LE PUNTATE PRECEDENTI
– Un passo indietro. Il 26 ottobre il Consiglio europeo ha varato misure per rafforzare la base patrimoniale delle banche dell’Ue. Decisione, questa, che era parte di un più ampio pacchetto che includeva interventi per la Grecia, il rafforzamento dello European financial stability facility (Efsf) e l’introduzione di garanzie pubbliche sulle passività delle banche. L’8 dicembre, la European banking authority (Eba) che oggi ha presentato il rapporto preliminare sull’attuazione delle raccomandazioni per portare il core tier 1 al 9% ha emanato una raccomandazione che invitava le autorità di vigilanza nazionali “a richiedere alle maggiori banche europee di costituire, dove necessario, un cuscinetto di capitale eccezionale e temporaneo per portare al 9% il rapporto tra capitale di qualità più elevata e le attività ponderate per il rischio”. I governi nazionali potevano dare il loro supporto nel caso in cui gli altri interventi non fossero sufficienti a raggiungere i livelli patrimoniali richiesti.

LE BANCHE ITALIANE – In tutta Europa, le banche coinvolte erano 71. L’aumento della dotazione patrimoniale richiesto era di 115 miliardi. Cinque, in Italia, gli istituti interessati: UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi Banca e Banco Popolare. Per quattro sono poi venute alla luce esigenze di capitale aggiuntivo pari a 15,4 miliardi in tutto. Tre delle quattro hanno detto di non aver bisogno del sostegno pubblico. Oltre il 70% del deficit di capitale complessivo è stato coperto da aumenti di capitale realizzati nei primi mesi del 2012 o con autofinanziamento. Per Banca Mps, ha spiegato Signorini, la causa dell’inadeguatezza è da ricondurre interamente alla valutazione ai prezzi di mercato dei titoli di Stato italiani detenuti nel portafoglio “available for sale”, ossia disponibile per la vendita: al 30 settembre, il fabbisogno complessivo era di 3,3 miliardi. Non considerando il cuscinetto per il rischio sovrano richiesto dall’Eba, il core tier 1 ratio era del 9,2%.

LE CONTROMISURE DI SIENA – A gennaio, Mps ha presentato un piano per far fronte al deficit. In caso di mancata realizzazione di alcune misure secondo i tempi e i modi stabiliti, la banca si è impegnata a emettere contingent convertible bond – obbligazioni che si convertono in azioni se la proporzione tra equity e attività ponderate per il rischio scende sotto una certa soglia – nella quantità necessaria a colmare il disavanzo residuo. Il 15 maggio, Rocca Salimbeni ha dichiarato la disponibilità a valutare misure di rafforzamento patrimoniale alternative. Delle operazioni di cessione di attivi ipotizzate si è concretizzata la vendita di Biverbanca. Le altre non si sono concluse in tempo utile, anche per l’acuirsi delle tensioni sui mercati. Il 22 giugno, Mps ha comunicato alla Banca d’Italia di non essere in grado di colmare il deficit di capitale entro il 30 giugno. Escluso il ricorso ai cosiddetti cocobond presso investitori privati, data la difficoltà di collocare questi strumenti. Non percorribile un aumento di capitale.

INTERVIENE LO STATO – Unica possibilità, l’intervento statale. Ma come? Il 26 giugno, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto 87/2012, contenente appunto misure urgenti per la ripatrimonializzazione della banca senese attraverso la sottoscrizione di nuovi strumenti finanziari per un massimo di 2 miliardi. Cifra a cui si sommerà l’emissione di altri 1,9 miliardi, destinata a sostituire i Tremonti bond emessi dalla banca nel 2009 e non ancora rimborsati. L’importo complessivo potrà quindi essere di 3,9 miliardi, ma non dovrà superare questo tetto. Tramite le azioni previste dal piano d’impresa aggiornato al 2015, la banca ritiene di poter rimborsare gradualmente i bond sottoscritti dal ministero delle Finanze per un importo di 3 miliardi entro il 2015. La scelta di ricorrere ai Tremonti bond, conclude Signorini, si giustifica anche in base al fatto che questi strumenti sono noti al mercato e sono stati a suo tempo vagliati e approvati dalla Commissione Ue, “il che dovrebbe facilitarne l’approvazione da parte delle autorità comunitarie”.

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