Bonifici con Iban errato: ABF punisce l’errore e il cliente si rivolge al giudice

Domanda. In una vostra risposta di qualche tempo fa (leggi qui, N.d.r.) avete evidenziato come una banca che riceva un bonifico nel quale non vi è rispondenza tra coordinate e denominazione del beneficiario sia responsabile per non essersi accorta della difformità. A una cliente è accaduto un caso simile: per errore ha indicato delle coordinate diverse da quelle del beneficiario. C’è modo di risolvere la questione in maniera rapida?

C. T., Bologna

Risposte. A meno che il “fortunato” che si è visto arrivare la somma cui non spetta non la renda di propria volontà, non abbiamo notizie favorevoli almeno riguardo una tempistica rapida di soluzione. Come riportato nella risposta cui il lettore si riferisce, l’articolo 24 del Decreto Legislativo 27 gennaio 2010 n.11 di attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento prevede che se un ordine di pagamento è eseguito conformemente all’identificativo unico (ossia l’Iban), esso si ritiene eseguito correttamente per quanto concerne il beneficiario e/o il conto indicato dall’identificativo unico. Il prestatore di servizi di pagamento è responsabile solo dell’esecuzione dell’operazione di pagamento in conformità con l’identificativo unico fornito dall’utilizzatore anche qualora quest’ultimo abbia fornito al suo prestatore di servizi di pagamento informazioni ulteriori rispetto all’identificativo unico. Sportello AdvisoryNel tempo, vi sono stati pronunciamenti dell’Arbitro Bancario Finanziario che, in via equitativa, hanno sancito un risarcimento pari alla metà della somma considerando la banca di arrivo come mandataria negligente ai sensi del secondo comma dell’articolo 1227 del Codice Civile, perché avrebbe potuto attivarsi per rilevare la difformità ed evitare (o limitare) le conseguenze dannose, per esempio con una richiesta di verifica alla banca presso cui il bonifico è stato disposto. Altre recenti decisioni invece hanno respinto i ricorsi attenendosi strettamente al dettato della norma ed escludendo quindi che l’intermediario che riceve il bonifico sia tenuto ad effettuare il cosiddetto controllo di congruità, vale a dire ad incrociare l’informazione sul beneficiario con quella del titolare del conto di accredito. La questione è finita quindi davanti al Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario che viene interpellato quando vi sono appunto diversità di vedute tra i Collegi territoriali. Il pronunciamento numero 162 dello scorso 12 gennaio assolve in toto le banche riceventi enunciando un principio di diritto secondo cui nell’esecuzione di un bonifico bancario, il prestatore di servizi di pagamento dell’ordinante ed il prestatore di servizi di pagamento del beneficiario sono autorizzati a realizzare l’operazione in conformità esclusivamente all’identificativo unico, anche qualora l’utilizzatore abbia fornito al suo prestatore di servizi di pagamento informazioni ulteriori rispetto all’Iban. In particolare, il prestatore di servizi di pagamento di destinazione del bonifico non è tenuto a verificare la corrispondenza fra il nominativo del beneficiario ed il titolare del conto di accredito identificato tramite l’Iban.

La motivazione alla base del principio enunciato viene sia da un’analisi degli articoli 24 e 25 del citato Decreto legislativo 11/2010, sia dalla considerazione che il disegno della Direttiva Ue da cui esso discende è quello di ridurre i tempi e i costi di esecuzione delle operazioni di pagamento e a promuovere l’affermazione di un mercato comunitario dei pagamenti efficiente e concorrenziale: niente più distinzione tra pagamenti nazionali e transfrontalieri ed accredito del bonifico sul conto del beneficiario entro la fine della giornata operativa successiva a quella della disposizione. Per raggiungere tali risultati, è stata effettuata la scelta di uniformare le prassi Sepa, basandole sul principio che il conto di destinazione del bonifico si individua tramite il solo Iban. Ciò per consentire il trattamento completamente automatizzato. Nemmeno è ipotizzabile, secondo il Collegio, che le banche impieghino mezzi per individuare anomalie, dato che a riguardo la legge è tanto chiara.

Il ragionamento sebbene non discutibile riguardo la disciplina normativa, lascia aperti non pochi interrogativi. Oltre che le piccole e grandi truffe che sono all’ordine del giorno, un’impostazione tanto rigida favorisce comportamenti legati al riciclaggio ed al finanziamento di operazioni illecite anche di vasta portata quali quelle terroristiche. E proprio di questi tempi, ciò pare andare contro le indicazioni non solo delle banche centrali ma anche di quelle degli organismi sovranazionali e dei singoli governi che hanno a cuore il problema. A questo punto si può, anzi si deve, sollevare la questione in sede Ue.

Con riferimento al cliente del lettore può sempre accampare pretese nei confronti della banca seguendo il precedente orientamento dell’ABF in merito, ma deve a questo punto farlo davanti a un giudice dopo aver esperito il tentativo obbligatorio di mediazione. Possibile anche l’azione di indebito arricchimento nei confronti di chi non restituisce una somma che non gli era dovuta, ma prima di porla in essere occorre accertarsi che ci siano concrete possibilità di recupero.

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