Promotori, un modello vincente che non si riesce a esportare

ESPORTARE UN MODELLO – “Le società italiane di asset gathering hanno fatto in passato diversi tentativi per esportare il modello italiano delle piattaforme di promotori finanziari all’estero”, conferma Silvano Lenoci, associate partner di Kpmg (vai qui per la prima parte dell’analisi). “Ricordiamo l’acquisizione in Spagna di Fibanc da parte di Banca Mediolanum e, successivamente, quella di Safei e di Entrium in Spagna e in Germania da parte dell’allora Bipop. La visione strategica di questi investimenti risiedeva nell’opportunità di esportare all’estero un modello distributivo relazionale come quello sperimentato con successo in Italia da questi operatori. In verità”, precisa Lenoci, “ben presto questi investimenti non si sono rivelati redditizi come era nelle aspettative, dal momento che ci sono elementi di forte differenziazione tra il mercato domestico e le realtà estere. In particolare, mi riferisco ai seguenti punti: uno è il diverso peso del segmento affluent o cosiddetto upper affluent, che in realtà estere è di sicuro dimensionalmente inferiore a quanto si possa registrare nel mercato italiano; l’altro è il modello del ‘promotore finanziario’ poco idoneo a cogliere le esigenze della clientela molto più abituata al concetto di ‘consulenza’; terzo, il livello evolutivo medio dei promotori finanziari“.

ESPERIENZE ALL’ESTERO
– “Sulla base di queste esperienze”, prosegue Lenoci esponendo la sua riflessione, “gli operatori italiani, e uno in particolare, non hanno rinunciato a rincorrere l’attrattività di alcune aree geografiche che presentano dei segni distintivi chiari per il settore di riferimento, ovvero crescita macroeconomica, incremento atteso della capacità di risparmio e, per finire, crescita della cosiddetta classe media. Tuttavia, nelle recenti esperienze è cambiato, anche per effetto dell’evoluzione settoriale nel mercato domestico, l’approccio al business estero. In particolare, le nuove esperienze di presidio estero non partono dal presupposto di esportare tout court il modello distributivo, peraltro in alcune aree da creare da zero, ma si propongono un’esportazione del modello di servizio facendo leva sui canali distributivi tipici dei Paesi target. Nello specifico, Azimut ha realizzato diversi investimenti all’estero in partnership con piattaforme distributive locali e facendo leva sull’innalzamento del livello qualitativo di servizio che può essere fornito ai broker o direttamente alla clientela retail”.

L’EVOLUZIONE DEL SETTORE
– Ma, a questo punto, c’è da aspettarsi che altre realtà si mettano nello stesso solco? Quanto è legittimo coltivare questa attesa? Alla domanda di BLUERATING, Lenoci risponde così: “è probabile che anche altre realtà rilevanti in Italia possano perseguire una strategia simile a partire dalle aree emergenti dell’Europa orientale. Le aree emergenti risultano già presidiate per le fasce di clientela elevata – i cosiddetti high net worth individuals, serviti dai private banker internazionali – mentre presentano materiali livelli di penetrazione nelle altre fasce di clientela, la cui allocazione del risparmio, oggi peraltro limitata per via della bassa età media, è polarizzato su prodotti bancari tradizionali. L’evoluzione del settore in Italia, che si sta oriendando anche per motivazioni normative sul concept strategico della consulenza, potrà essere un fattore abilitante per il presidio estero dei nostri player nazionali”.

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