Italiani, solo il 22% si affida ai consulenti

SOLO IL 22% SI AFFIDA AI CONSULENTI – Come investono gli italiani? “Il 44% degli intervistati sceglie come investire dopo aver consultato familiari e conoscenti, il 22% si affida ai consigli di un esperto ovvero delega a questi la gestione dei propri investimenti (il dato si riferisce soprattutto a donne, lavoratori autonomi, soggetti di età compresa tra i 45 e i 64 anni o famiglie abbienti), mentre il 15% decide in autonomia (soprattutto ultrasessantacinquenni e meno abbienti). Inoltre, coloro che decidono di investire in autonomia si connotano per un livello elevato di conoscenze finanziarie di base (circa il 65%), per una adeguata consapevolezza delle proprie competenze (34%), nonché per un basso livello di avversione alle perdite”. Lo si legge sul primo numero del “Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane”, presentato oggi dalla Consob (qui la notizia precedente).
 
NESSUNA CONSULENZA – “A fine 2014”, si legge sul report, “la percentuale di famiglie che fruiscono della consulenza Mifid si attesta attorno al 9%, confermando la scarsa diffusione del servizio; la consulenza generica e quella passiva coinvolgono rispettivamente il 15% e il 36% delle famiglie, in calo rispetto agli anni precedenti, mentre aumenta la quota di famiglie che non ricevono alcuna consulenza (40% versus 26% nel 2009). Tra coloro che fruiscono del servizio di consulenza Mifid, il 60% dichiara di ricevere una proposta di investimento su iniziativa dell’intermediario (49% nel 2013), il 7% circa riceve una proposta a seguito di una sua specifica richiesta, mentre il restante 33% non è in grado di riconoscere la modalità con la quale accede al servizio”.
 
IL RUOLO DELL’ISTRUZIONE E DELLA RICCHEZZA – L’utilizzo di un servizio di consulenza personalizzato si associa a un maggior livello di istruzione e di ricchezza finanziaria. In particolare, la quota di famiglie che ricevono proposte di investimento personalizzate si attesta attorno all’8% quando il decisore finanziario ha un titolo di studio inferiore al diploma di laurea, mentre è pari al 18% circa tra gli investitori retail più istruiti (benché anche in questa categoria rimanga elevata e pari al 33% circa la quota di famiglie che non ricorre a consulenza Mifid). Con riferimento alla ricchezza, la quota di nuclei familiari che si avvale di raccomandazioni personalizzate oscilla tra il 4% e il 60% al crescere del patrimonio finanziario. Gli investitori retail che fruiscono di consulenza personalizzata detengono un portafoglio più diversificato (a fine 2014 il 74% possiede almeno uno strumento finanziario rischioso), mentre per le famiglie che dichiarano di non avere un consulente è marginale la quota di soggetti che investono in azioni, obbligazioni, risparmio gestito e polizze vita.
 
VANTAGGI POCO PERCEPITI – Gli investitori, tuttavia, sembrano percepire poco i vantaggi connessi al servizio di consulenza rispetto a modelli decisionali differenti. “La disponibilità a pagare per la consulenza”, segnala Consob, “rimane bassa sia tra coloro che fruiscono del servizio Mifid (oltre il 60% non si esprime o dichiara di non essere disposto a sostenere alcun costo) sia tra coloro che ricevono consulenza passiva o generica (circa l’85%). Tale evidenza è coerente con un livello di soddisfazione per il servizio di consulenza mediamente contenuto: in particolare, solo il 14% degli individui che utilizzano consulenza passiva e poco più del 20% degli investitori che ricevono raccomandazioni personalizzate o generiche esprimono un giudizio molto positivo. Il giudizio sul consulente si fonda soprattutto sulla disponibilità e sull’attenzione verso il cliente (come indicato da quasi il 50% degli investitori che ricevono consulenza Mifid), mentre l’assenza di conflitto di interessi e il supporto all’adozione di scelte di investimento corrette risultano meno preponderanti (entrambi indicati dal 20% circa dei fruitori del servizio Mifid)”.
 
SCAMBIO INFORMATIVO – I risparmiatori sottovalutano, inoltre, l’importanza dello scambio informativo che deve attivarsi tra consulente e cliente affinché il primo possa fornire un servizio nel miglior interesse del secondo. In particolare, il 14% degli intervistati dichiara di non sentirsi in dovere di fornire all’intermediario (tenuto alla valutazione di adeguatezza delle proposte di investimento al profilo del cliente) informazioni complete e veritiere in merito alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria, mentre la percentuale di soggetti propensi a comunicare informazioni relative a uno dei molteplici profili necessari per la valutazione di adeguatezza (quali conoscenze ed esperienze, obiettivi, situazione finanziaria e orizzonte temporale) oscilla tra l’8% e il 30% circa. “Il consulente viene comunque ritenuto il principale canale informativo da coloro che dichiarano di informarsi prima di investire (92% dei soggetti assistiti con consulenza Mifid e 70% dei soggetti che accedono alla consulenza generica o passiva), mentre rivestono un ruolo marginale internet e la stampa specializzata”, conclude Consob.

Clicca per sfogliare il report completo.

 

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