Truffa Fiordiconio Gold, poche speranze di riparto per i creditori

DOMANDA Un mio cliente mi ha appena confidato di essere incappato nella truffa della Fiordiconio Gold rimettendoci molti soldi e mi ha chiesto consigli. Potete aggiornarmi sulla situazione?
G.M., Roma

RISPOSTA
– La Fiordiconio Gold di Roma era una società per azioni iscritta nell’elenco operatori professionali in oro presso la Banca d’Italia. Amministratore unico e socio di maggioranza era Maurizio Ciombolini, mentre una quota del 30% apparteneva al direttore commerciale Maria Rita Ballante. I due si erano incontrati alla metà degli anni novanta quando entrambi erano promotori finanziari di Diffusione Finanziaria, la sim del gruppo Banca San Paolo di Brescia. Ai primi del 1997 hanno abbandonato per dedicarsi alla nuova società, che poteva contare su un centinaio di clienti diffusi soprattutto nel Lazio. I contratti offerti erano di due tipi, uno con un profilo conservativo e l’altro più aggressivo, con relativi diversi interessi promessi e pagati fino all’inevitabile crollo della piramide che era stata costruita. Condizioni contrattuali che già di per sé non quadravano, perché non è possibile garantire interessi prefissati se il sottostante è la gestione a mezzo compravendita di metalli preziosi. A fine 2012, quando gli interessi non sono stati più erogati, si è scoperto che i contratti non erano presenti nella contabilità aziendale ma gestiti con un circuito parallelo anche dal punto di vista economico. Si è tenuta lo scorso 17 giugno una nuova udienza per l’esame delle istanze di insinuazione allo stato passivo presentate da alcune decine di creditori, principalmente clienti. Le speranze di riparto sono comunque vicine allo zero. Sul versante penale, il processo a carico dei due soci per abusivismo finanziario e truffa è in corso e nel mese di marzo il Gup Antonella Capri ha ammesso quali responsabili civili la Banca d’Italia, la Consob e la Bank of Austria, istituto dove secondo Ciombolini erano presenti i depositi di metalli della società. Le possibilità che le accuse reggano sono però scarse, dato che non vi era vigilanza diretta e completa come per esempio per le imprese di investimento in strumenti finanziari. Anche la Bank of Austria appare più vittima inconsapevole che non complice dell’accaduto.

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