Consulenti, la vigilanza è il nodo Mifid II

Se si parte dall’assunto, o meglio da un principio che è alla base di un discorso valutativo che ci permette di analizzare oltre l’aspetto formale la funzionalità di un sistema, ovvero un presupposto che ci dia la possibilità di capire criticamente un fenomeno o un problema che ha una rilevanza oggettiva nello stesso sistema sociale, allora ritengo che si abbiano tutti gli strumenti necessari per comprenderne la sua portata, soprattutto sul piano delle dinamiche che influenzano la nostra storia.

Circoscrivendo il problema a quanto sta avvenendo nel settore delle banche, del credito e della finanza ci si pone uno schema di analisi che idealmente (wishful thinking) più o meno dovrebbe essere di questa natura: “le strutture e i sistemi legati al mondo della finanza dovrebbero servire agli uomini, alle imprese, ai cittadini consumatori più di quanto gli uomini e le stesse imprese non servono alla strutture e ai sistemi così organizzati”.  Questo significa che le stesse istituzioni deputate ad assolvere una funzione quale quella di cui sopra ha un elevato “costo umano” con un dispendio di energie economiche, fisiche, psichiche e l’accettazione di regole norme e contratti che rendono possibile il funzionamento di tali istituzioni così strutturate. Questo “costo umano” viene solitamente “imposto” mediante norme o sistemi di norme onde consentire a tali istituzioni (bancarie e finanziarie) di funzionare al meglio per la realizzazione dei loro obiettivi (soprattutto economici e di potere) ovvero la soddisfazione di fondamentali esigenze degli azionisti e degli uomini di un certo gruppo che tali istituzioni governano. Il raggiungimento effettivo di questo risultato del funzionamento dell’istituzione (bancaria o finanziaria) può essere quindi interpretato a vantaggio di tutti come “funzione positiva” per l’intero sistema così strutturato. Tuttavia – e questa è la nostra analisi interpretativa – se il costo umano prevalentemente è in capo alla stragrande maggioranza dei risparmiatori e degli attori del mercato creditizio e finanziario ed è superiore alla resa, in termini di soddisfazione di tali esigenze, allora si può ben affermare che il “saldo è negativo” e mostra di essere “disfunzionale” per l’intero sistema. Non si vuole certo porre la querelle fra problemi di funzionamento o di funzionalità di un sistema così strutturato che ha aperto un fronte di discussione a largo raggio (da Merton in poi), ma se tale analisi è difficilmente contestabile credo di raccogliere ampi consensi, scaturiti anche e soprattutto da una situazione oggettivamente riscontrata sul piano storico e sociologico.

Partendo da uno studio di Citigroup, dopo la crisi del 2008 le banche occidentali hanno ridotto il personale di oltre 730.000 unità e si prevede che nei prossimi dieci anni saranno in fuoriuscita oltre 1.700.000 dipendenti. In Italia – come riporta un comunicato recente della Fabi – negli ultimi tre anni il sistema bancario ha visto l’uscita di circa 12.000 lavoratori, pari a circa il 5% degli addetti e nei prossimi quattro anni un altro 7% è destinato a lasciare il lavoro. Una rivoluzione che non ha precedenti nelle relazioni industriali del paese e in un settore, quello del credito, considerato ai vertici della stabilità del sistema. Dal 2013 al 31 marzo 2016, afferma sempre la Fabi – dai gruppi bancari italiani sono usciti 11.988 lavoratori e altri 16.109 sono pronti ad uscire entro il 2020 in base agli accordi sindacali sugli ultimi piani industriali. Di questi 8.928 sono potenzialmente prepensionabili. Ed ancora: dal 2009 al 2016 sono stati tagliati sul territorio 3.972 sportelli, di cui 1.697 nell’ultimo triennio. Tra le cause principali – si afferma- che la crisi del settore è figlia dei nuovi modelli distributivi che ha comportato chiusure di sportelli, esternalizzazioni e continue revisioni di piani industriali.

Una situazione certamente terrificante se dovesse avverarsi ma fondata se si tiene conto dei processi in atto con l’applicazione delle nuove tecnologie al settore, all’aumento dei livelli di concorrenza e dei processi di informatizzazione da parte dei clienti nell’uso dei servizi bancari e finanziari. Uno scenario che visto anche nel quadro degli interventi delle scelte di politica monetaria adottate dalle banche centrali in questi ultimi anni – in controtendenza ad una linea di azioni che facesse ripartire il motore dello sviluppo – non sono state in grado di contrastare la discesa dei tassi di inflazione con la svalutazione del tasso di cambio e le forti iniezione di liquidità al sistema bancario affinché finanziasse la domanda degli attori (imprese e famiglie) per rimettere in moto economia e consumi. Un dato di retrospettiva sulla composizione del sistema bancario italiano – prima che la vigilanza passasse in capo alla BCE – forse è utile al fine di inquadrare il problema.

Fino al 2009 in Italia operavano: 788 banche, 115 società di intermediazione finanziarie (Sim), 204 società di gestione del risparmio (Sgr e Sicav), 3 Istituti di moneta elettronica Imel, 1 Divisione Banco Posta –PT , 1 Cassa Depositi e Prestiti.
Le società iscritte ex art.107 del Testo Unico Bancario (TUB) da 491 sono passate a n.172 nell’elenco speciale e n.1.411 nell’elenco generale. Nelle varie sezioni risultavano iscritti i soggetti non operanti nei confronti del pubblico per un numero di 19.038 , – Confidi n.753, Cambio valute n. 453 e Casse peota n. 127. Erano iscritti, prima dell’entrata in vigore del d.lgs 141/2010 all’U.I.C – n 67.585 Agenti in attività Finanziaria; n. 121.542 Mediatori creditizi e n. 276 operatori professionali in Oro. (fonte Bankitalia)
Oggi la vigilanza diretta (dal novembre 2014) è in capo alla BCE su 123 banche mentre rimane in capo alla Banca d’Italia su gruppi bancari non significativi la vigilanza prudenziale: n.56 appartenenti a gruppi bancari; 435 banche non appartenenti a gruppi; inoltre vi sono n. 77 succursali di banche estere e n. 456 intermediari finanziari non bancari. In tale quadro si può benissimo comprendere l’evoluzione – o meglio “la rivoluzione” – che ha interessato il settore e a quale scenario si va incontro. Contrariamente invece a quanto sta avvenendo sul versante del risparmio gestito e delle reti di collocamento assistiamo ad un fenomeno in fortissima crescita e in controtendenza a quello legato alla realtà organizzativa e strutturale delle banche proprio a seguito non solo delle normative comunitarie che sono in ulteriore fase di recepimento (Mifid II) ma anche dalla domanda di “nuova consulenza” proveniente dalla comunità dei risparmiatori ed investitori.

L’ordinamento italiano, con la nuova formulazione dell’albo dei “consulenti finanziari”, ha dato impulso ad un processo di rinnovamento e sviluppo nonché di trasparenza sulle funzioni che si andranno a determinare per le figure professionali previste nelle apposite sezioni (consulenti ex pf- autonomi e società di consulenza) ma anche per tutti gli altri operatori del mercato finanziario, creditizio, assicurativo nonché trasversalmente quello immobiliare. L’universo di tali operatori professionali che prestano consulenza e sono iscritti ai rispettivi albi ed elenchi oggi rappresentano “una componente sostanziale” e qualificata di tutto il settore dell’intermediazione finanziaria, creditizia, assicurativa ed immobiliare. Vediamone alcuni dati:
A) Ex promotori finanziari iscritti all’OCF (già apf ) sono 52.200 di cui 10.850 donne e 36.300 con mandato attivo (dati OCF ed Assoreti 31-12-2015), rappresentano il 6,4& delle attività delle famiglie italiane con 434 milairdi di patrimonio complessivo per 3,7 milioni di clienti
B) Albo OAM (Organismo Agenti e Mediatori dati riferiti al 31.12.2015),iscritti n.8.370 di cui n.6.547 agenti in attività finanziaria e n. 300 mediatori creditizi, n. 1523 agenti iscritti nella sezione speciale e n. 10.759 come collaboratori
C) Elenco intermediari assicurativi iscritti al Regolamento RUI (tenuto dall’IVASS) nelle varie sezioni: circa 40.000 sez.A; circa 6.000 nelle sez B, C e D; circa 160.000 Sez. E;
D) Agenti e consulenti operanti nel settore immobiliare (iscritti presso le CCIA) circa 30.000 ed intermediano il 40% delle compravendite in Italia (125.000 transazioni nel 2014 contro le 100.000 tra privati) Nota: nel solo comparto giudiziario nel 2014 sono andati all’asta oltre 80.000 immobili;
E) Settore del Credito – degli oltre 230/250mila dipendenti vi sono iscritti all’albo dei consulenti finanziari circa 12.000 ex promotori, con qualifiche apicali all’interno di tutto il sistema delle banche. Fenomeno in forte crescita per favorire la riconversione del personale con ruoli di consulenza diretta alla clientela sia nel settore del private, corporate che affluent e con una formazione e riqualificazione mirata. Uno scenario ipotizzabile: 1 consulente per ogni agenzia ?
F) Ruolo di Banco Posta – l’asse interesserà – come già sta avvenendo – anche tale segmento con una riqualificazione mirata del personale che sarà concorrenziale al sistema bancario e finanziario dove si prevede che in ogni point finanziario (14.000 uffici distribuiti capillarmente su tutto il territorio nazionale) vi sia la figura del consulente, sia per la raccolta che per gli impieghi. Complessivamente tutta l’area dei professionisti che operano in questi settori cruciali della società italiana, quasi 450mila professionisti-consulenti, avrà in mano il patrimonio delle famiglie italiane che stante i dati di bankitalia ed istat ammonta a fine 2014 ad oltre 8.750 miliardi di euro (circa 144.000 euro procapite, 360.000 euro per famiglia)

Alla luce dei dati quantitativi sopra evidenziati, come conseguenza, anche il lavoro svolto in tali ambiti è destinato ad assumere un radicale cambiamento. In che modo allora e in che termini verranno instaurati i nuovi rapporti di lavoro e chi li condizionerà ? Chi garantirà il posto fisso che nell’attuale organizzazione del lavoro aveva un punto di riferimento stabile nel tempo ? Che ruolo giocherà ancora il sindacato tradizionale nel confronto con le associazioni di tendenza di queste nuove professioni ? quale pericolosità presenta un “lavoro autonomo per nulla tutelato”? I sintomi di questo inarrestabile processo di cambiamento sono già a portata di mano. Si pone quindi un problema di rappresentanza e di trasparenza con regole chiare, semplici e comprensibili alla vasta platea dei risparmiatori. Un sistema per concludere di controllo e vigilanza che non si intrecci o entri in conflitto tra gli organismi deputati a tale funzione. La Mifid II forse razionalizzerà tutto questo ? Ho i mei dubbi!

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