Albarelli (Azimut): “Tanto sviluppo, tanto estero”

“Il bilancio? Sicuramente positivo. Nel corso di quest’anno ho avuto modo di lavorare da vicino con molti professionisti che, oltre ad essersi rivelate persone dalle grandi qualità, mi hanno permesso di tracciare un profilo molto
chiaro del Gruppo. Azimut negli ultimi anni è cresciuta in modo considerevole, se pensiamo che
dal 2011 ad oggi ha incrementato le masse totali da 16,5 miliardi a quasi 50”. Sergio Albarelli (nella foto)  veniva nominato circa dodici mesi fa amministratore delegato
di Azimut Holding, subentrando nelle deleghe al fondatore, presidente e a.d. Pietro Giuliani, che restava con la prima carica.
“Il mio contributo – spiega Albarelli a BLUERATING – è stato in primo luogo diretto a strutturare processi e procedure in grado di ottimizzare la grande quantità di lavoro
svolto, migliorando la macchina operativa che è stata grandemente sollecitata da questa rapida crescita, portando all’apertura di più di 60 cantieri tutti presidiati
da persone interne all’azienda. È stato inoltre costruito un nuovo organigramma della holding con 5 dipartimenti principali supportati da 6 funzioni”.

Dal top management del Gruppo sono usciti manager che si identificavano con la storia di Azimut. Quali le ragioni di questi ricambi? Sono previsti altri innesti manageriali esterni?

Considero del tutto normale che in aziende di grandi dimensioni ci sia, a un certo punto, un ricambio ai vertici e che figure storiche decidano di intraprendere nuove strade dopo aver raggiunto importanti traguardi. In Azimut ho trovato manager di livello e non è stato necessario inserire professionisti dall’esterno. Alcune funzioni aziendali sono state rafforzate con figure esterne selezionate dai responsabili delle funzioni stesse proprio nel rispetto delle loro altissime competenze.

La crescita di Azimut in passato è avvenuta in tante linee di business, che potevano a volte sembrare troppe. È prevedibile in futuro un maggiore focus del business? E se sì su cosa?

Restiamo concentrati sullo sviluppo di 3 principali linee di business: gestione, distribuzione quindi rete, wealth management e istituzionali, estero. La gestione, di cui fanno parte oltre 100 gestori e analisti nel mondo e che beneficia delle conoscenze maturate nelle diverse aree geografiche dove siamo presenti, resterà un fiore all’occhiello di Azimut e un elemento distintivo rispetto al settore. Siamo impegnati a costituire un global team che coordinerà tutti i nostri hub di gestione nel mondo, garantendoci il presidio dei mercati 24 ore al giorno, e saremo gli unici in Italia e tra i pochi in Europa
a poterlo offrire alla clientela.
Lato distribuzione, oltre 2.000 consulenti finanziari affiancano quotidianamente i risparmiatori in Italia e all’estero nelle loro scelte di pianificazione patrimoniale, attraverso un modello di servizi basato su partnership, flessibilità, indipendenza, ed orientato al futuro. L’estero rappresenta una leva imprescindibile del nostro sviluppo, che sarà sempre più internazionale.

Ha ancora un senso oggi la struttura azionaria di Azimut
che vede i manager soci di maggioranza relativa tramite Timone? Non c’è bisogno di entrare in un’aggregazione più importante in un business dove la dimensione conta sempre di più?

L’indipendenza è elemento irrinunciabile che esprime chi siamo, rendendoci unici sul mercato e la partecipazione in qualità di soci di chi lavora in Azimut ha senso oggi più che mai. Manager, dipendenti e consulenti vivono l’azienda come qualcosa di proprio e a dimostrazione di questo senso di compattezza i due piani di acquisto di azioni Azimut, avviati nel 2016 e a luglio di quest’anno e della durata di 4 anni, hanno incassato una risposta eccezionale: sono 1.193 le persone che lavorano in azienda e hanno deciso di destinare un importo mensile finanziato con risorse proprie per un controvalore complessivo di 34 milioni di euro. Un caso che non trova riscontri in Italia e forse neanche all’estero.

Altrimenti c’è la strada della crescita per acquisizioni. Recentemente avete rafforzato la cassa con l’emissione di un bond da 300 milioni. Prede italiane in vista?

Di dossier ne riceviamo molti, ma sul mercato italiano non c’è molto che possa essere di nostro interesse o che abbia per noi un senso finanziario. Guardiamo invece all’estero, per esempio al nord delle Alpi, dove operano alcune boutique di asset management specializzate in asset class su cui non abbiamo competenze interne. Questo potrebbe essere un tipo di acquisizione interessante.

Veniamo alle linee di business. Quali gli obiettivi del wealth management? Dove indirizzerete il reclutamento? Perché puntate su bancari che seguono clientela affluent?

Siamo stati tra i primi, nel
 2010, a realizzare un progetto dedicato al wealth management che da poco ha festeggiato il superamento dei 10 miliardi di euro di masse totali, gestite da 220 professionisti. Un risultato che per noi non è un traguardo ma un ulteriore punto di partenza per continuare a rafforzarci nel segmento private. Nell’ultimo triennio abbiamo inserito 445 consulenti finanziari di cui 74 wealth manager, mantenendo un equilibrio tra crescita organica e reclutamento, nel quale stiamo privilegiando professionisti con grande esperienza nelle soluzioni di risparmio gestito e in particolare di fondi, polizze, gestioni patrimoniali e consulenza a pagamento. Il progetto dedicato ai bancari
che seguono clientela affluent nasce dall’evidente difficoltà che sta attraversando il settore delle banche tradizionali e dal faticoso passaggio generazionale dei consulenti finanziari, la cui età media è di circa 56 anni. Per alcuni di loro, 150 in 3 anni, riserviamo un’opportunità interessante dal punto di vista professionale e premiante anche sul piano economico.

Business esteri. Quali gli obiettivi in termini di masse e redditività?

L’internazionalizzazione è
una strategia in cui Azimut ha fortemente creduto e sulla quale
ha investito con attenzione ma convinzione. Oggi i 17 Paesi del mondo in cui siamo presenti rappresentano il 22% delle masse complessive del Gruppo, distribuite per l’8% nell’area Emea (ex-Italia), il 5% nel continente americano e il 9% in Asia-Pacifico. La nostra convinzione è che un business sostenibile a lungo termine non possa limitarsi all’espansione sul mercato nazionale, che diventa sempre più saturo, ma debba esplorare le opportunità fornite dai paesi a più alto tasso di crescita, in grado di apportare contributi in termini di masse raccolte. Da inizio anno oltre la metà della nostra raccolta proviene da attività estere, di expertise dei nostri gestori e di nuove opportunità di investimento per i nostri clienti. Sono operazioni che affrontiamo scrupolosamente on modalità diverse a seconda
del paese in cui andiamo e che, come nel caso dell’ultima alleanza siglata pochi giorni fa in Iran, avvengono dopo un lungo processo di conoscenza reciproca. Il nostro target era di raggiungere circa il 15% delle masse totali dalle attività estere entro il 2019: siamo ampiamente sopra questo livello e ormai quasi tutte le società hanno raggiunto il breakeven.

Una grande banca-rete ha comunicato recentemente di voler fare anche la banca d’affari. Potrebbe essere una scelta che fate anche voi?


Azimut la scelta l’ha già fatta e tempo addietro. Anche in questo caso siamo stati pionieri del
settore con il lancio 4 anni fa di Libera Impresa, piattaforma a sostegno delle aziende durante tutto il loro ciclo di vita, e tra i di trasferire il bacino di risparmio privato del paese nell’economia reale. Siamo già presenti nel segmento del corporate advisory con Azimut Global Counseling, società del Gruppo dedicata all’attività di consulenza nell’investment banking per imprese con fatturato superiore ai 10 milioni di euro, che supporta gli imprenditori nelle operazioni straordinarie e nella valorizzazione delle loro imprese. Oltre alle 2 operazioni già concluse, sono diverse le attività portate avanti da Azimut Global Counseling anche grazie ai contatti con gli imprenditori da parte degli oltre 1.630 consulenti finanziari che presidiano il territorio nazionale.

Ipo club: quali gli obiettivi in termini di massa e redditività? Quale il significato in chiave prospettica della vostra recente acquisizione dell’intero capitale di Futurimpresa?

Ipo Club, il fondo chiuso che abbiamo lanciato nel maggio 2016 con Electa Ventures e Azimut Global Counseling e focalizzato sulle medie aziende italiane eccellenti in fase di pre-Ipo, ha raccolto quasi 130 milioni di euro principalmente da imprenditori italiani che rappresentano più
del 70% dei sottoscrittori. La decisione di acquisire l’intero capitale di Futurimpresa è naturale conseguenza della volontà di rafforzare le nostre competenze nell’ambito degli strumenti alternativi e del non quotato
per generare rendimento in un contesto in cui è sempre più difficile ottenerlo.

Anche voi siete entrati nel mercato dei Pir, un business in fase di forte accelerazione.
Non teme, al riguardo, che si stiano creando i presupposti per una bolla a scoppio ritardato?

Il lancio dei due nostri fondi Pir compliant, Italian Excellence
3.0 e Italian Excellence 7.0, è in linea con quanto ho raccontato sul progetto Libera Impresa ed è avvenuto nell’ottica di fornire ai nostri clienti ulteriori strumenti di diversificazione del portafoglio, all’interno di una corretta
asset allocation. Il pericolo di un’eventuale bolla può essere allontanato dall’impulso che i Pir possono dare alla quotazione di nuove aziende di piccole-medie dimensioni.

È in arrivo la Mifid 2, con un forte impatto su tutta l’industria. Come vi preparate? Quanto ne soffrirete? E dove finiranno le vostre famose commissioni di performance? Semplificherete l’offerta dei fondi?
Ci stiamo preparando ormai da mesi all’avvento di Mifid 2 e, dal momento che il rapporto con
i nostri clienti è sempre stato all’insegna della trasparenza, non nutriamo particolari timori. I costi sostenuti dalla clientela, su cui si pone tanta attenzione, verranno comunque analizzati all’interno del contesto delle performance di portafoglio maturate. In questo senso Azimut ha sempre ottenuto risultati migliori rispetto ai competitor, permettendo ai suoi clienti di guadagnare di più della media di mercato. Non soffriremo, partiremo anzi favoriti rispetto
al mercato in tema di product governance: controllando tutta la catena del valore, dalla creazione alla distribuzione dei prodotti, siamo in grado di realizzare o modificare in tempi molto brevi le soluzioni che soddisfino le esigenze della clientela. Le commissioni di performance rientrano nell’ambito dei costi che il cliente vedrà, non solo più in termini percentuali ma anche assoluti. Abbiamo lavorato a una revisione della gamma prodotti, procedendo ad una razionalizzazione dell’offerta, in particolare fondi, e ampliando il mondo degli alternativi e del non quotato, strumenti utili per offrire rendimenti interessanti in un contesto di tassi a zero.

Nell’ultimo anno il titolo ha guadagnato quasi il 25% ma resta ancora lontano da quei picchi oltre quota 28 euro toccati nel 2015. Sono livelli nuovamente raggiungibili? Come?

Crediamo che il titolo abbia ampi spazi di crescita, tant’è che stiamo comprando azioni Azimut su
base continuativa mensile fino al 2020. Purtroppo essendo un titolo finanziario, italiano, mid-cap siamo talvolta impattati dalla volatilità sui mercati e da alcuni short-sellers. Nonostante questo continuiamo a lavorare per ottenere risultati sempre più solidi e siamo certi che il crescente valore dell’azienda
si trasformerà anche in una valutazione più corretta del titolo in Borsa, che sicuramente non è il livello attuale.

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