Ingiusto pagare i costi di verifica di assegni circolari

Un cliente si è visto addebitare il costo per il mancato pagamento di un assegno circolare postale, poi regolarmente accreditato in seconda battuta.
Le Poste affermano che era nel loro diritto verificare, ma perché il cliente deve pagare spese?
 C. F., Modena

Tutto deriva dalla check truncation, che consente alla banca negoziatrice di presentare all’incasso assegni bancari fino a 5mila euro (alcuni anni fa 3mila) e assegni circolari senza limiti di importo mediante la trasmissione alla banca trattaria o emittente di un
flusso elettronico di dati e senza l’invio del documento. Poiché le clonazioni di assegni sono in forte crescita, la controparte ha voluto verificare l’assegno senza basarsi sui soli dati. Fin qui ci può anche stare, ma non è giusto che il beneficiario si trovi a pagare spese legate a procedure di cui non è parte attiva. La questione si può oggi superare del tutto perché il Decreto Legge 13 maggio 2011 n. 70 (il cosiddetto “Decreto Sviluppo”), convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio
2011, n. 106 ha aggiornato la Legge Assegni prevedendo tra l’altro che l’assegno bancario e l’assegno circolare possano essere presentati al pagamento sia in forma cartacea che elettronica e che le copie informatiche di assegni cartacei sostituiscono a ogni effetto di legge gli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale è assicurata dalla banca negoziatrice mediante l’utilizzo della propria firma digitale.

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