Consulenza soffocata

La MiFID è in vigore (si fa per dire) da circa sei mesi e la consulenza non decolla. Non si vedono studi indipendenti sbocciare a mazzi come fiori in un campo primaverile né i clienti fanno la coda per pagare onorari di consulenza a esperti di questo o quel segmento di mercato; e nemmeno sembra di scorgere virgulti del frutto più importante di una consulenza diffusa, ovvero la crescita significativa dell’alfabetizzazione finanziaria degli investitori.

Chi ha ucciso la consulenza? O meglio chi la sta soffocando in culla?
 

1) La Consob è sicuramente uno dei principali indiziati: non so per quale motivo (forse per un’inconfessabile sfiducia negli attori e nei meccanismi del mercato), ma sta dando segnali precisi di ritenere la consulenza solo un sistema per responsabilizzare i collocatori in modo che tutto resti come prima e si vada avanti a suon di adeguatezza. Sembra così, a leggere le indicazioni che provengono dal materiale di consultazione (ma molto di più vien fatto capire, come fanno gli innamorati, con gravi occhiate e sospiri sussurrati), che l’unico modo legittimo per poter incassare gli inducements (ovvero le retrocessioni) sia affibbiare al cliente anche la consulenza. Così si “eleva il livello qualitativo del servizio offerto”. Peccato che la direttiva di terzo livello (considerando n.39) non dica questo.
E nemmeno il TUF conosce una consulenza come servizio di investimento che abbia a oggetto qualcosa di diverso dagli strumenti finanziari mentre sembra che a via G. B. Martini non la pensino così; e quindi via consulenza e adeguatezza su polizze, prodotti finanziari e anche su servizi di investimento (le famigerate gestioni). Considerato che in passato non ci ha sempre azzeccato (vedi la gestione surrettizia giustiziata, ahimé tardivamente, dalla Cassazione) credo che sarebbe bene pensare anche con la propria testa.
 
2) Ma questa non è la specialità degli intermediari che, un po’ per paura, un po’ per insipienza, corrono come lemmings tutti insieme. Anche le reti sono quindi fortemente indiziate di infanticidio atteso che non sembrano far altro che adeguarsi propinando ai clienti una consulenza apparentemente gratuita e in realtà pagata con gli inducements. Si trastullano quindi con complicati quiz a punti che magicamente trasformano l’operazione adeguata in consulenza e quella inadeguata in collocamento a richiesta del cliente. Attenti però a non eccedere né con l’una né con l’altro. Tutto cambia perché tutto resti uguale.
 
3) Anche i promotori poi sono complici del misfatto. Forse sono orgogliosi di potersi chiamare consulenti, certo devono pur lavorare e la MiFID non l’hanno voluta studiare (come molti peraltro); e quindi accettano di ridursi a fare i salti mortali con i dati del cliente per far uscire dalle maschere dei software per il calcolo dell’adeguatezza un risultato compatibile con il prodotto sul quale hanno il bonus di raccolta.
E se proprio non ci si riesce la società ha già predisposto un documento da mettere sotto il naso del cliente con il quale tutto diventa una sua scelta indipendente dalle sollecitazioni. Sarebbe questo l’elevamento della qualità dei servizi?
 
4) Per ultimi anche i clienti hanno le loro, seppur ridotte, responsabilità. L’idea di pagare per una consulenza indipendente non li sfiora nemmeno; meglio la pacca sulla spalla e la fiducia data senza capire piuttosto che pagare qualcuno per ricevere indicazioni serie e motivate, senza conflitti d’interesse. Da troppi anni, del resto, nessuno si è preoccupato di far capire ma solo di informare; ti metto in mano un prospetto informativo di 600 pagine e posso stare tranquillo che sai tutto quello che c’è da sapere.
 
Mi sento un po’ affranto come Poirot quando scopre che sull’Orient Express erano tutti d’accordo per far fuori il povero Samuel Ratchett. La consulenza non la vuole davvero nessuno. Non so se, così come è disegnata dal legislatore comunitario, sia un bene o un male; so solo che ci dovrebbe essere qualcosa di diverso da quello che c’era prima e intorno non vedo grandi cambiamenti. Si sa, la cosa più difficile non è fare leggi nuove o affermare principi innovativi; è cambiare la testa della gente.

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