Ora contate per Lehman Brothers

Tutto come previsto. Dopo il crollo verticale di ieri (-44,5%) Lehman Brothers ha deciso in fretta e furia di anticipare la presentazione dei risultati trimestrali, prevista originariamente per il prossimo 18 settembre.

Questa mossa si è resa ormai indispensabile dopo che la banca coreana KDB (il partner fino a ieri più accreditato a sostenere il bilancio di Lehman) si è dileguata a causa della velocità e del deterioramento del quadro economico negli Stati Uniti.

Alle 13.30 (ora italiana) la banca terrà  la conference call più attesa della settimana e forse si saprà qual è il piano di salvataggio escogitato dall’amministratore Richard Fuld e compagni.

Per ora il quadro è desolante: la banca dovrebbe riportare oggi una perdita compresa tra i 2 e i 4 miliardi di dollari, comunque superiore a quella del trimestre precedente (2,8 miliardi di dollari) che già era stata un record nella storia della banca quotata dal 1994.
In bilancio la quarta banca d’affari statunitense controlla ancora 65 miliardi di dollari legati ai mutui immobiliari, 40 dei quali legati al mercato commerciale.

Le leve per uscire dalla crisi ci sono ma si contano sulle dita e contemplano la vendita della unit di asset management Neuberger Berman, una nuova inizione di capitale tramite l’ingresso di un socio forte (un fondo sovrano o una banca estera), la vendita in blocco del gruppo.

Qualunque sia la decisione del management i tempi sono stringenti. Senza tornare troppo indietro nel tempo (marzo 2008) il sentiment negativo che avvolge LB somiglia molto a quello che colpì Bear Stearns. La banca d’affari oggi sotto il controllo di Jp Morgan, venne travolta dalla crisi dei due fondi hedge pesantemente investiti in subprime, e cominciò un rapido declino contrassegnato da continue voci di vendita di cespiti o l’ingresso di nuovi investitori.

Il problema, allora come oggi, è che per l’attività tipica svolta da una banca d’affari, la credibilità e solidità dell’istituto si riflette anche sulla possibilità di fare affari con il resto del mercato. Basterebbe infatti (così come è accaduto con Bear Stearns) che alcune controparti di rilievo smettessero di finanziare il debito di Lehman, che la banca si troverebbe senza risorse per continuare la propria attività e la fine del suo business.

Nel caso di Lehman, lo standing elevato del management e del gruppo sembrano dargli un certo vantaggio rispetto a Bear, ma già nella giornata di ieri si parlava di un ordine da parte di Goldman Sachs di interrompere qualsiasi attività di trading con Lehman. Sempre la prima banca d’affari degli Stati Uniti sembra possa essere pronta a lanciare un’Opa su Lehman per 11,5 dollari per azione. Un prezzo ridicolo se si confronta con l’andamento medio dei titoli di LB degli ultimi 12 mesi ma comunque ben al di sopra della chiusura di ieri (7,79 dollari).

Se dovessimo trovare un punto a favore di LB è la sua capacità di uscire dai momento difficili. Sono ben quattro le crisi storiche che hanno travolto il gruppo: nel 1929 con il crollo di Wall Street, nel 1973 a causa di una perdita spot di 7,3 milioni di dollari, nell’1984 quando evitò una scalata ostile da parte di American Express e nel 1994 quando una scommessa sbagliata sui tassi di interesse fece perdere al gruppo centinaia di milioni di dollari.

L’importante ora è che le mosse della società siano più veloci degli short-sellers, che negli ultimi giorni stanno ampiamente cavalcano la discesa del titolo, alimentata dal silenzio del top management e da una crisi che travolge tutto e tutti.

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