Confessioni di un promotore finanziario pentito

“Anche se la maggioranza dei promotori finanziari desiderano offrire una corretta consulenza ai propri clienti, finché eserciteranno l’attività per conto di una rete commerciale, saranno vincolati a proporgli solo i prodotti distribuiti dalla propria casa mandante” spiega l’ex promotore.
 
“Fino a quando questa situazione non cambierà radicalmente, e finché il compenso per le sue prestazioni viene pagato sotto forma di provvigioni sui prodotti venduti, con evidente conflitto di interessi – sottolinea il professionista – difficilmente si potrà parlare di approccio consulenziale”.

“Bisogna avere il coraggio di ammettere – prosegue il consulente – che attualmente il promotore non è un consulente ma un venditore. E’ chiaro, poi, che la sua professionalità lo farà operare come ritiene più corretto, ma il conflitto di interesse è oggettivo. Negare il problema lo ingigantisce solamente”.

C’è, tuttavia, chi si trova in una posizione ancora più difficile.

“Prima di operare per una rete commerciale, e di intraprendere la via della consulenza, ho lavorato 10 anni come sportellista bancario, e la situazione era anche peggiore. La logica bancaria ci invitava a consigliare ai risparmiatori prodotti spesso inutili, ma che davano un alta remunerazione. Il caso più clamoroso era quello delle obbligazioni a capitale garantito, prodotti che consentono di realizzare guadagni esorbitanti, ma non ai clienti: solo agli istituti”.

“Per i professionisti si aprivano due strade – conclude il neo-consulente fee-only – la prima rappresentata da un deludente ritorno economico, e dalle conseguenti sfuriate da parte della direzione commerciale, e la seconda, forse la più comune, raffigurata dall’accettazione delle indicazioni che provengono dall’alto”.

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