Italia bocciata in libertà economica

Peggiora la posizione dell’Italia in riferimento agli altri paesi in merito alla libertà economica. L’Indice della libertà economica classifica il nostro paese al settantaseiesimo posto, in caduta rispetto al sessantaquattresimo posto conquistato l’anno scorso. In valore assoluto, il livello di libertà economica viene valutato al 61,4 per cento, circa un punto percentuale in meno rispetto all’anno scorso.

L’Index of Economic Freedom 2009, indice della libertà economica pubblicato ogni anno dalla Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, in collaborazione con un pool di think tank tra cui, per l’Italia, l’Istituto Bruno Leoni, pone il nostro stato al 76º posto nella classifica mondiale della libertà economica. Il punteggio complessivo dell’Italia è più basso dello 0,2 per cento rispetto al dato dell’anno scorso, in quanto i leggeri miglioramenti registrati sono stati compensati dal peggioramento per quanto riguarda la libertà dallo Stato e la libertà del lavoro. L’Italia occupa il 32º posto (su 43 Paesi) in Europa e ha un punteggio appena superiore alla media mondiale.

L’Indice censisce il grado di apertura rispetto a dieci indicatori, che descrivono la libertà con cui gli operatori economici possono muoversi in ciascun paese del mondo. Nonostante un lieve miglioramento si sono registrati anche decisi arretramenti. Pessima infatti risulta la posizione per quanto riguarda la libertà d’investimento (70%). L’Italia è aperta agli investimenti dall’estero, ma il governo può porre il veto all’acquisizione di imprese italiane che coinvolgano investitori stranieri. Agli investitori stranieri attivi in Italia o in altri Pesi dell’UE è riservato il medesimo trattamento degli investitori italiani, con alcune eccezioni relative al settore della difesa, della produzione aeronautica, dell’esplorazione ed estrazione petrolifera, dei trasporti aerei nazionali e dei trasporti marittimi. L’inefficienza del sistema giudiziario italiano viene spesso menzionata come un deterrente agli investimenti dall’estero. Il peso eccessivo della burocrazia, l’inadeguatezza delle infrastrutture, la scarsa trasparenza delle normative, la possibilità dell’intervento dello Stato e l’ostilità dei sindacati possono altresì inibire gli investimenti.

Migliore ma sempre a un livello di guardia la libertà finanziaria (60%).  Infatti secondo il report il settore finanziario italiano è abbastanza sviluppato e offre una vasta gamma di servizi finanziari. Il credito viene assegnato ai termini stabiliti dal mercato e l’arrivo di operatori stranieri non subisce più eccessivi ostacoli. Lo Stato non detiene più pacchetti azionari di rilievo nel settore bancario e oggi non restano che tre importanti istituti finanziari (la Cassa Depositi e Prestiti, Poste Italiane/ Bancoposta e l’Istituto per il Credito Sportivo) controllati dallo Stato. Le sei banche più grandi contano per oltre il 50 per cento degli asset complessivi, sebbene la concentrazione in tale settore risulti inferiore che nel resto d’Europa. Le normative e i divieti risultano però spesso onerose e ottenere il controllo di un istituto finanziario richiede l’approvazione delle autorità pubbliche.
 
«L’Italia è peggiorata, quest’anno, sia in termini relativi che assoluti. Questo rende la nostra economia meno forte e meno competitiva e, dunque, meno in grado di resistere alla crisi globale» dichiara Alberto Mingardi, direttore generale dell’IBL « E’ importante che il governo capisca che solo riforme strutturali nel segno della libertà economica – cominciando col dare al Paese un impianto normativo meno confuso e instabile – possono riportare il nostro paese sul sentiero della crescita». Infatti a livello globale sono ben 83 i paesi che hanno fatto passi avanti rispetto allo scorso anno. I paesi più liberi al mondo sono Hong Kong, Singapore e l’Australia. Tra i primi dieci paesi, ben quattro sono europei: Irlanda (quarto posto), Danimarca (ottavo), Svizzera (nono) e Regno Unito (decimo).

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