Etf vs. fondi comuni, azionario India

L’offshoring è l’acquisto a distanza o in remoto di servizi prodotti all’estero, attraverso l’utilizzo di mezzi elettronici quali telefono, fax e Internet. Fra gli elementi determinanti che spingono le aziende ad effettuare o meno l’offshoring dei servizi vi è il grado di separabilità, standardizzazione, automazione e ovviamente il livello dei costi. La scelta tra produrre o acquistare un servizio non è influenzata solamente dai vantaggi in termini di costo, ma anche dei rischi derivanti dall’appropriazione delle idee da parte delle società terze presso le quali si delocalizza. Tra i fattori rilevanti per il luogo dove effettuare l’attività di offshoring, vi sono invece le competenze tecnologiche, linguistiche, la flessibilità ed il costo della forza lavoro, un quadro legale fondato su una struttura di diritto analoga a quella dei paesi anglosassoni, ma anche la possibilità di essere vicini ad un mercato in forte crescita.
Tra i paesi emergenti, l’india è quindi riuscita a specializzarsi nella gestione in remoto dei servizi, da parte delle multinazionali occidentali, registrando tassi di crescita annui vicini al 10 per cento per il 2006 e 2007.
Il calo della piazza indiana, storicamente considerata tra le più influenzate dall’avversione al rischio, è stato in linea con quanto accaduto sui mercati finanziari internazionali, il SenSex, principale indice domestico, è passato dai 20.000 punti agli attuali 9.500.
 
Nel mercato Etf Plus di Borsa Italiana, per investire sull’India, sono presenti due Etf; che vengono battuti dai migliori fondi a gestione attiva, che sono riusciti a sfruttare le asimmetrie di mercato.
Il Db X-Trackers S&P Cnx Nifty (-52,59%), che replica le performance dell’indice S&P, che vede Reliance Industries, NTPC, Infosys, State Bank of India come aziende più pesate; ed il Lyxor Msci India (-57,34%), composto dalle aziende a maggiore capitalizzazione e più liquide della borsa indiana, con Reliance, Infosys e Icici Bank tra i principali titoli in portafoglio. 

Nel mercato del risparmio gestito italiano, i fondi comuni specializzati sull’India sono numerosi, in quanto primo paese emergente nel quale dall’industria dei fondi ha fortemente puntato, grazie alle ottime prospettive di crescita, ma soprattutto per un quadro regolamentare aperto agli investimenti esteri. Le performance registrate sono tra loro molto diverse, a dimostrazione della difficoltà presente ad operare nel mercato indiano.

Tra i migliori fondi comuni
dell’ultimo anno ci sono il Franklin India (-44,95%), che ha sovraperformato l’indice a partire da luglio, anch’esso con Reliance e Infosys tra i titoli più pesati, seguiti da Bearti e Housing development finance corportation; i settori più rappresentati sono il finanziario, il tecnologico e l’energetico.
Limitano i danni anche il Gestielle India (-47,59%) ed il Pioneer India Equity (-51,39%).
 
Tra i peggiori fondi comuni
dell’ultimo anno vi sono invece il Magna India Fund (-70,04%) ed il Fidelity India (-62,54%), che ha puntato principalmente su tecnologici, finanziari e ciclici, sottopesando i grandi conglomerati. 

Il rallentamento economico internazionali ha colpito anche l’India, che tuttavia, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, dovrebbe continuare a sovraperformance gli altri paesi emergenti, con una crescita rispettivamente del 5,1 e 6,5 per cento, per il 2009 e 2010. L’investimento in India è riservato a profili propensi al rischio, ma soprattutto con una visione di lungo termine, in quanto rappresenta un mercato di difficile lettura. Oltre alle indiscusse potenzialità di crescita, il livello di correlazione con gli altri mercati finanziari è tra i più bassi al mondo e può garantire quindi un buon livello di diversificazione, ricedendo nel complesso il rischio dell’investimento.  

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