Etf – Le modalità di replica del benchmark

Gli Etf sono dei fondi che replicano passivamente un indice sottostante di riferimento. Obiettivo del collocatore dello strumento, è quello di far sì che il trend dell’Etf segua fedelmente il benchmark, ovvero minimizzare la distanza tra il prezzo teorico e quello effettivamente seguito dal prodotto, nota come tracking error. Giovanna Zanotti, professore associato di Economia degli intermediari finanziari presso l’università Bocconi, nell’intervista pubblicata dalla newsletter di Borsa Italiana Inside Markets, ha spiegato il funzionamento di replica del benchmark.

La società che gestisce l’Etf, non può acquistare direttamente l’indice di riferimento, ma al più i titoli che lo compongono, spiega Giovanna Zanotti. Il modo più semplice per replicare il sottostante, è infatti quello di comprare tutti i titoli inclusi nel benchmark, in proporzione pari ai pesi che essi hanno nell’indice. Questa modalità di replica è nota come full replication: una volta costruito tale portafoglio, il gestore dello strumento dovrebbe solo limitarsi a lasciare invariate tali proporzioni. Nel caso in cui un titolo aumenti di valore, allora la sua capitalizzazione crescerà, determinando un aumento del peso di tale titolo nel prodotto.

Replicare perfettamente i pesi dei titoli, però, non sempre è possibile, se sul mercato in cui gli stock sono negoziati vi sono dei lotti minimi obbligatori. Anche se fosse possibile  replicare perfettamente il benchmark, ad ogni modo, periodicamente devono esser effettuati dei ribilanciamenti del paniere, a causa  dell’entrata/uscita dall’indice di un titolo, dello stacco di cedole o perché i dividendi corrisposti vengono reinvestiti all’interno del fondo. Tali operazioni di acquisto/vendita, comportano dei costi di transazione che incidono sull’Etf, abbassandone le performance, e non sul benchmark, spiega la prof. Zanotti. Per questi motivi, la full replication è una strategia di replica efficace per indici costituiti da non troppi titoli, altrimenti i ribilanciamenti saranno necessariamente numerosi.

Esiste, però, una seconda metodologia di replica del benchmark, il sampling. Dal nome inglese, si intuisce come questa strategia consista nell’acquisto di un campione (sample) di titoli, selezionati in modo da rappresentare in maniera pressoché simile, l’indice sottostante. Oltre ai modelli fattoriali, una metodologia di selezionamento dei titoli è quella del campionamento stratificato, come si legge dall’intervista di Inside Markets. Tale approccio consta nel suddividere il benchmark in gruppi di titoli, dei quali se ne selezionano solo alcuni in base a dei criteri determinati (settore, livello di capitalizzazione…).

Sempre di più, ultimamente, viene utilizzata una costruzione “artificiale” di replica del sottostante: gli swap. Gli Etf swap based, spiega Giovanna Zanotti, prevedono la replica dell’indice attraverso l’acquisto di un paniere di titoli sostitutivi, con una controparte swap che si impegna a garantire la performance del benchmark di riferimento per l’Etf. In questa maniera, salvo fallimento della controparte od altri casi estremi, le performance dell’Etf e del benchmark collimeranno. Oltretutto, tramite tale metodologia di replica, i rischi ed i costi connessi al tracking error, non ricadranno più sull’investitore nell’Etf, bensì sulla controparte swap.

Si è accennato al rischio controparte. Nel caso di default totale della banca che entra nel contratto di swap, tale sostituzione non verrebbe più garantita. Per questo motivo, ormai tutti gli Etf swap based rispettano la normativa UCITS III, che limita l’investimento in strumenti derivati da parte dei fondi a non più del 10% del NAV per singola controparte. In sostanza, afferma la prof. Zanotti, è possibile che esistano più controparti swap, frazionando in tal maniera il rischio su più provider.

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