Il mercato sceglie la solidità della Germania

E’ stato il porto sicuro per eccellenza nella tempesta dei mercati finanziari europei. Nessuno come la Germania ha infatti raccolto attorno a sè la fiducia degli investitori, sia sul lato pubblico sia su quello privato. I bund, i titoli di Stato tedeschi, ormai considerati alla stregua di beni rifugio, hanno visto impennarsi i loro prezzi, mentre il Dax, l’indice più rappresentativo della Borsa di Francoforte, è stato di gran lunga il migliore dei listini azionari del Vecchio continente sia da inizio 2010 che negli ultimi 12 mesi.

Nessuna sorpresa, perché il mercato ha premiato i listini e le attività finanziarie dei Paesi virtuosi, in termini di attenzione al deficit e al debito, ma anche in termini di capacità di agire con tempismo sui mercati, come ha fatto l’esecutivo guidato da Angela Merkel. E la Germania si prepara ad essere protagonista anche in futuro, spinta dal suo ruolo di leadership nel settore manifatturiero e dal benefico effetto sulle esportazioni che sta già avendo il deprezzamento dell’euro. Bund & Co Ma perché i mercati si fidano di Berlino molto più di quanto non facciano con il resto d’Europa? Il motivo principale risiede nella solidità dei conti pubblici, che a tutt’oggi fa della Germania l’unica nazione con un rating tripla A non in discussione. Il deficit viaggia attorno al 3,3% del Pil, ma con l’obiettivo di scendere allo 0,35% nel 2016.

Mentre il rapporto fra debito e Prodotto interno lordo, è al 73,2%, un livello considerato gestibile. Abbastanza perché i titoli tedeschi, considerati tra i più sicuri al mondo insieme ai Treasury statunitensi, fossero investiti da un’ondata di acquisti, e abbastanza anche per sostenere le quotazioni dei titoli azionari del Paese. Da inizio anno il Dax è l’unico tra i grandi indici azionari europei a trovarsi ancora in territorio positivo, con una performance (al 21 giugno) pari a +4,47 per cento. L’ottimismo sulle prospettive La locomotiva d’Europa sta tornando a marciare a buon ritmo. La metafora è sicuramente abusata ma allo stesso tempo appropriata.

Nel mese di aprile la produzione industriale è cresciuta dello 0,9% su base mensile a fronte di attese che si fermavano al +0,7%. La variazione su base annua è pari al 13,2%: gli economisti più ottimisti, nelle loro previsioni, non andavano oltre un +12,4 per cento. Insomma, la prima economia dell’Eurozona e d’Europa ha ripreso a correre, dopo la contrazione del 5% del Pil nel 2009. Nel frattempo, a sorpresa, sono anche aumentati del 2,8% gli ordini all’industria, con un incremento che su base annua balza al +29,7 per cento. Ma segnali positivi giungono anche da una serie di altri indicatori sensibili. Il tasso di disoccupazione a maggio è sceso dal 7,8 al 7,7%. Persino la Bundesbank, solitamente molto cauta e conservatrice, ha rivisto al rialzo le proprie stime sulla crescita dell’economia nel proprio outlook semestrale. Nelle attese, il Prodotto interno lordo crescerà dell’1,9% quest’anno e dell’1,4% il prossimo.

L’incognita del rigore fiscale In tutto questo, come leggere allora il dato negativo dello Zew*, diffuso lo scorso 15 giugno? L’indice di sentiment economico è sceso a giugno bruscamente e inaspettatamente da 45,8 a 28,7 punti. Gli esperti rilevano come, nonostante la ripresa, crisi economica e misure di austerità varate dai governi europei spaventino gli investitori. Il governo Merkel ha infatti già preparato una bozza di finanziaria che prevede risparmi per 11 miliardi di euro il prossimo anno (e altri 8 miliardi sia nel 2012 che nel 2013), con forti tagli alla spesa pubblica. La manovra desta così preoccupazione negli altri Paesi europei, i quali temono che il rigore tedesco possa soffocare la ripresa. Proprio i consumi privati stagnanti sono finora l’anello debole dell’economia tedesca, mentre un loro risveglio favorirebbe anche il Pil dei Paesi periferici dell’area euro. Il governo ha però già fatto passi in questa direzione, riducendo la tassazione lorda. In conclusione, parafrasando il vecchio detto della Gm, quel che va bene per la Germania va bene anche per l’Europa. Occorrerà vedere se gli altri Paesi saranno d’accordo.

L’articolo è tratto da Un mese di Borsa, la rivista mensile dedicata ai consulenti finanziari.
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