Etf – Come calcolare i costi

Una premessa è d’obbligo: l’ETF è un prodotto “semilavorato” e di questo semilavorato si conoscono i costi, ma ciò non è per niente sufficiente per considerarlo “low cost”. Quando si compra qualcosa si vuole conoscere il costo del prodotto “finito”. Tale è il FONDO gestito: si guardano le quotazioni giornaliere e si conosce perfettamente il prezzo del prodotto finito FONDO gestito. Diversamente per il semilavorato ETF: si guardano le quotazioni giornaliere del semilavorato ETF, che però non rispecchiano il prezzo finito, perché non sono inclusi i c.d. Costi  “nascosti”, che lo rendono “high cost”.
Per gli ETF mancano elementi di costo necessari per una decisione consapevole.  Va bene così? Niente da dire, l’importante però è comunicarlo agli Investitori e non pubblicizzare l’ETF come un prodotto “low cost”.

Ecco una sintesi dei costi:

A.    COSTI “NASCOSTI” da dedurre dalla performance degli Etf
1.    Costi di negoziazione: fino ad uno 0,50%, per ogni acquisto e vendita dell’Etf.
2.    Costo da spread denaro-lettera, poco controllabile: fino allo 0,90% per ogni acquisto e vendita, ma può raggiungere percentuali di molto superiori: 2% e oltre.
3.    Costi bancari amministrativi e dossier titoli
4.    Costo fiscale: si noti che il 12,5% dei Fondi Attivi può balzare per gli Etf ad oltre il 20%, e poi va considerato, per un confronto omogeneo, che le performance di un Fondo Attivo di diritto italiano sono al netto del 12,50%.
5.    Costo di tracking error: dato dalla minore performance dell’Etf rispetto alla performance del benchmark cui è legato. Secondo il rapporto di Morgan Stanley, che ha analizzato il tracking error dagli Etf degli Stati Uniti, nel 2009 lo stesso risulta, per gli Etf analizzati, più che raddoppiato: in media dallo 0,52% all’1,25%.
6.    Costi di funzionalità: rilevanti e non quantificabili.
7.    Costo di consulenza (se utilizzata): in media 0,50% – 1% e oltre.
8.    Costi cognitivi: dovuti al “fai da te”.
Questi costi che gravano sugli Etf al momento della liquidazione, oltretutto, riducono la convenienza di negoziare gli Etf nel breve periodo e a maggior ragione infra-day.

B.    Costi compresi nelle performance degli Etf
9.    Costo di gestione ricorrente: da 0,165% a 0,90% ed oltre per gli Etf di nuova generazione. Questo è un costo elevato considerando che non c’è attività di gestione, si paga qualcosa che non c’è.
10.    Costo di rotazione del portafoglio
Tutto ciò è complicato, perché i costi sono di difficile valutazione e alcuni di difficile comprensione, come quelli che possiamo definire “Costi di funzionalità”.

In tal senso vale la pena considerare quanto riportato su:
a)    Milano Finanza, 10 luglio 2010: “Ma perchè diversi emittenti utilizzano la tecnica sintetica al posto di quella fisica? Perché in questo modo anche la banca d’investimento del gruppo al quale l’emittente appartiene ha la possibilità di guadagnare sul fondo indice, grazie ………………………………………………………………….
In questo modo, oltre alle commissioni di gestione c’è quindi un’altra potenziale fonte di guadagno, in capo alla banca d’investimento del gruppo” (Roberto Bonelli).
b)    Morningstar: I trucchi del trading ( Ben Johnson, 28.06.10)
Non solo commissioni di gestione. Gli Etf hanno altre voci di spesa, che però si possono tenere sotto controllo.
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Al fine di avere una visione più completa, gli investitori hanno, però, bisogno di capire tutte le voci di spesa della negoziazione dei replicanti.
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Il numero di market maker è un’altra variabile importante: più è alto, maggiore è la probabilità di ottenere spread ridotti grazie alla concorrenza tra loro.
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Tra tutti gli indicatori, il differenziale bid-ask è la misura più precisa per individuare il costo di trading di un Etf.
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Infine, è importante considerare gli orari di negoziazione della Borsa replicata, preferendo le fasi di contrattazione (ad esempio, è meglio acquistare un Etf su Wall Street dopo pranzo).
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In ultimo, quando si parla di costi di transazione, il brokeraggio può rappresentare una spesa importante. Le commissioni possono variare a seconda di vari criteri, come la frequenza delle transazioni, il broker, la modalità di esecuzione di un ordine (attraverso un impiegato di banca, al telefono o per via telematica), il tipo di mercato (certi broker hanno commissioni più alte per i mercati esteri). La scelta del broker è fondamentale, ma anche adottare una strategia buy&hold, (acquista e conserva) permette di tenere sotto controllo i costi.
c)    Morningstar: Quattro regole per comprare (vendere) un Etf (Alan Rambaldini, 22.06.10)
1.    Controllare il Net asset value (NAV)
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Un ribasso del prezzo sottostante spinge i market maker a comprare azioni dell’Etf e a vendere il paniere di titoli sottostanti.
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L’offerta e la domanda create con questo tipo di attività muove il prezzo di mercato dell’Etf in linea col valore dei titoli replicati, permettendo così ai market maker di svolgere il trading e ottenere dei profitti.
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2.    Controllare lo spread bid-ask
Il passo successivo è quello di controllare lo spread bid-ask. Più è basso più il prezzo è vicino al Nav e quindi si minimizzano i costi al momento della vendita
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Sfortunatamente, non esiste una regola fissa che stabilisca quando lo spread è troppo elevato: dipende dal replicante, dal suo volume di trading e dagli spread dei titoli sottostanti.
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3.    Usare gli ordini limitati
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Per esempio, un investitore può chiedere l’acquisto di 200 azioni e aspettarsi di pagare il prezzo fornito dal broker, ma se l’ordine di vendita corrispondente è di sole 50 azioni, il resto sarà eseguito in un momento successivo e magari a un prezzo superiore.
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4.    Non fare trading in apertura dei mercati
Generalmente, il periodo migliore per scambiare gli Etf è a metà giornata, piuttosto che all’inizio o alla fine. Lo spread bid-ask tende infatti ad essere più ampio all’apertura dei mercati perché i market maker vogliono vedere come i titoli sottostanti vengono scambiati.
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d)    Morningstar. Etf, attenzione al “mito liquidità” (Elliot J, Orsillo, 30.08.10). Da quando gli Exchange traded fund vengono scambiati sulle Borse come le normali azioni, molti investitori assumono che anche la loro liquidità si basi sugli stessi parametri. Questa è una delle concezioni più sbagliate riguardo ai replicanti. Infatti, quello che determina la liquidità dell’Etf è il grado di liquidità degli asset replicati; perciò, il volume medio giornaliero di trading è un dato pressoché inutile.

Ci si chiede: come quantificare questi “COSTI DI FUNZIONALITA’”? C’è dell’altro che ci sfugge?
Sì! Basti pensare che nel sito di Borsa Italiana non sono pubblicati gli spread bid-ask dei singoli ETF, ma solo gli spread medi per categoria, e solo mensilmente viene indicato l’ETF con il minor spread del suo settore.
Questa carenza di dati fa si che “in sostanza prima di decidere l’ETF giusto, secondo la società mercato, bisognerebbe osservarne il comportamento per almeno tre giorni.
Un bell’impegno. Senza contare che non tutti hanno le competenze e gli strumenti per farlo” (Federica Pezzati “C’E’ ANCORA TROPPA NEBBIA SULLO SPREAD DENARO/LETTERA”, PLUS – IL SOLE 24 ORE, sabato 02 ottobre 2010).

Sempre in tema di uso strumentale dei costi del semilavorato Etf, che significatività può avere un RATING valutativo degli ETF che consideri solo i costi ridotti del semilavorato ETF e tralasci i costi “nascosti” rilevanti che gravano sul prodotto finito ETF e quindi sulla sua performance? Un RATING degli ETF dovrebbe considerare almeno i seguenti parametri: excess return (Er), tracking error volatility (Tev), total expensive ratio (Ter), scarto bid-ask (Sba), liquidity index (Lix), costi  amministrativi e di negoziazione bancari (Cab), costo fiscale armonizzati (Cof), costo fiscale non armonizzati (Caf), costi di funzionalità (Cif), costo di consulenza (Cac).
Il Rating dovrebbe esplicitare i criteri di valutazione/pesi e le relative quantificazioni, diversamente il Rating è privo di significato, ed il suo utilizzo è fuorviante e tale da incanalare verso valutazioni incomplete ed errate.

Parlando di chiarezza, in Morningstar del 08 luglio 2010, Valerio Boselli nel suo articolo scrive: “Infine, un monito ormai caro a Deborah Fuhr e ai suoi collaboratori: la chiarezza nella definizione di Exchange traded fund. “Molte società sperano di fare soldi sfruttando la crescita degli Etf in vario modo”, “stiamo rischiando di allontanarci dalla descrizione di un prodotto la cui vera natura è di essere trasparente, efficiente ed economico”. Insomma, ci troveremmo davanti ad un bivio. Spesso ci troviamo di fronte a strumenti finanziari che si dichiarano Etf quando mancano delle caratteristiche essenziali come la trasparenza totale del portafoglio e la disponibilità real-time del Nav. Trovare una definizione chiara ed univoca di Etf, Etc, Etn, Etp, è in questo momento il bisogno più importante dell’industria”.

Le incertezze, che rendono problematica una decisione consapevole per investire nel semilavorato ETF, sono davvero tante, troppe.

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