Il fenomeno P2P lending? È una nuova crisi subprime

Il fenomeno del P2P lending non è nuovissimo, ma sta nell’ultimo periodo crescendo in termini di popolarità esponenzialmente in tutta Europa, e anche in Italia. Ma negli Stati Uniti sta scatenando alcune preoccupazioni, perché sembra riproporre alcune dinamiche della recente crisi dei mutui subprime. Con i tassi di interesse ai minimi storici e gli investitor alla disperata ricerca di rendimenti, scrive l’Irish Time, i prestiti online peer-to-peer potrebbero scatenare un nuovo boom di insolvenze.

A metà maggio, le azioni di Lending Club, il più grande operatore online statunitense, si sono dimezzate a seguito delle dimissioni del suo patron e Ceo, Renaud Laplanche, dopo un’inchiesta relativa a una polemica scoppiata su un prestito rischioso concesso a un cliente. Pochi mesi prima la reputazione del numero due nel mercato statunitense, Prosper, è stata messa a dura prova dopo per avere prestato denaro a un sospetto terrorista.

Le perplessità sono state sollevati dall’Irish Time anche in termini di valorizzazione. Nel primo trimestre del 2016 Lending Club prestato ha prestato circa 2,75 miliardi di dollari, ben il 68% in più di 12 mesi prima. Jp Morgan, per fare un confronto, ha aumentato la stessa voce in bilancio solo del 16%. Eppure la piattaforma online aveva una valutazione di 8 miliardi di dollari verso la fine del 2014, ora vale 1,7 miliardi di dollari.

Uno dei problemi più immediati è che questo tipo di piattaforme di prestiti online ricevono fino al 90% dei loro ricavi dai nuovi prestiti, piuttosto che da clienti esistenti. E senza nuovi prestiti, quindi, il bilancio andrà in rosso. Il modello originale è molto semplice e ha trovato negli investitori retail e mutuatari il target principale. Ma dai piccoli investitori è difficile trovare abbastanza soldi per far fronte alla domanda dilagante di credito. Così ci si rivolge sempre più spesso a investitori istituzionali e alle banche che assemblano portafogli di credito in forma cartolarizzata.

Secondo il provider globale di ricerche sulla finanza alternativa, Altfi, ha stimato che queste piattaforme negli Stati Uniti hanno ricevuto circa il 20% del loro denaro da parte degli investitori retail, il 50% da investitori istituzionali americani, mentre il 30% provengono da operazioni di cartolarizzazione. Insomma, i paralleli con la crisi dei mutui subprime che ha colpito l’economia globale il 2008 sembrano evidenti. In più, le piattaforme P2P – così come gli ideatori dei mutui subprime – hanno pochi motivi per preoccuparsi se i mutuatari non potranno rimborsare il prestito. In secondo analisi, ci sono dati limitati sulla qualità del credito: le offerte di credito P2P sono sì controllati, ma solo sommariamente. E, infine, in merito alle banche che stanno prestando agli hedge fund, che a loro volta stanno comprando i prestiti P2P, ci sono scarse informazioni sul prestito collaterale.

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