Salvare il risparmio gestito? i Bot ci provano

Tantissimi e svariati pareri sono stati dati sulla crisi mondiale del risparmio gestito. Cause più o meno chiare, portano ad un tripudio di pareri talvolta contrastanti. Che fare all’interno di un calderone di questo tipo? Il buonsenso, unito alla logica dei grandi numeri e a qualche goccia di conformismo didattico, genera la cosiddetta opinione comune. Ebbene, è opinione comune che in Italia la situazione sia più critica rispetto all’estero, per una serie di motivi.

Banche ed assicurazioni sono padri e padroni. E’ indubitabile la loro incidenza all’interno della maggioranza delle sgr italiane; una struttura proprietaria stabilmente ancorata a questi intermediari, con esclusività di accesso alla distribuzione e spazi molto limitati per manovre commerciali autonome. Secondo punto: questione fiscale. Disparità palese di trattamento tra i fondi di diritto italiano e quelli di diritto estero: continue richieste di armonizzazione finora rimaste inascoltate, finalizzate principalmente allo spostamento della tassazione sui rendimenti realizzati, anziché su quelli maturati. Magari le riforme ci saranno, ma siamo sicuri che l’Italia sarà in grado di rimettersi in marcia, all’interno di un mercato che sta diventando sempre più competitivo e reattivo?

Per ora a tenere in piedi l’italica comitiva ci pensano i cari e vecchi Bot. Pur offrendo rendimenti reali praticamente prossimi allo zero, possono fungere da salvagente per due motivi. Il primo è la capacità di configurarsi come ancora di salvezza per patrimoni allo sbaraglio; una sorta di limbo isolano di facile approdo, dove i navigatori possono sostare in attesa che il mare si calmi. Il secondo punto è conseguenza del precedente: rinfrancati nell’animo dal ritorno di sicurezza dell’investimento, potrebbe rinascere il desiderio di allontanarsi dall’isola riprendendo la via del mare, alla ricerca di leccornie e scenari più gratificanti. Potrebbe nascere un rinnovato, più maturo, “sentire” (o sentiment, per accontentare le smanie anglofone) da parte del risparmiatore e la conseguente opportunità di iniziare finalmente un percorso, anche culturale, verso il risparmio di lungo termine. Questo passaggio si rivelerebbe fondamentale, in quanto il pubblico italiano, per esempio, non è ancora mentalmente abituato ai nuovi pilastri del welfare nazionale, sempre meno premiante per le future generazioni. Se è vero che il progresso non è altro che brancolare da un errore all’altro (Ibsen), allora possiamo dirci fiduciosi.

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