Risparmio gestito – Un commento al trimestre, prima parte

Il rally di mercato successivo ai minimi del 6 marzo quando lo S&P 500 aveva toccato quota 666 è differente da altre corse al rialzo del mercato ribassista cominciato con il dissesto del credito nell’agosto del 2007. Se si tratti dell’inizio di una nuova fase rialzista – lo sarebbe nel caso l’economia fosse avviata verso un periodo di crescita sostenibile nella seconda parte di quest’anno – o se si tratti soltanto di un solido momento rialzista in un mercato ribassista, opinione attorno alla quale sembra prevalere il consenso – non è ovviamente dato saperlo al momento.

Se si tratta di un una corsa rialzista all’interno di un mercato ribassista, è diversa da tutte quelle che abbiamo visto dalla fine degli anni trenta. Ha un andamento che assomiglia molto di più al mercato rialzista che concluse la fase ribassista tra il 1973-1974, o a quello partito dal fondo toccato nel 1982, o persino a quello decollato con vigore nel marzo 2003 dall’ultima ondata di timore di una deflazione. Finora il rally si è protratto più a lungo e più ampiamente – offrendo quindi meno possibilità di posizionamento – di tutti mercati rialzisti che hanno caratterizzato il periodo postbellico. Abbiamo assistito a sei settimane positive di fila (sette per il NASDAQ) mentre nel 2008 il massimo che ci si potesse aspettare erano tre settimane positive.

Le dinamica è stata guidata dagli early cyclicals, vale a dire, dai comparti ciclici: finanziario, immobiliare e dei consumi discrezionali, quali la vendita al dettaglio e i ristoranti, un segno incoraggiante che potrebbe indicare la fine del lungo periodo di declino economico cominciato nel dicembre 2007. Un’altra nota di speranza è la forza dell’azionario nei mercati emergenti, che sono molto sensibili alla crescita economica incrementale. Il mercato azionario cinese quest’anno è avanzato di oltre il 30%, quello coreano do oltre il 20%, l’India è cresciuta del 17% e la maggior parte degli altri mercati asiatici hanno segnato progressi a due cifre. Nelle Americhe, il Brasile e il Venezuela hanno guadagnato più di 20 punti percentuali, il Cile e l’Argentina registrano crescite a due cifre, il Canada è salito del 6% come il NASDAQ negli Stati Uniti.

La portata di questo momento rialzista è un buon segno. Lo S&P 500 è ancora sotto del 4%, mentre il Dow Jones Industrial Average lo è quasi dell’8%, ma sarà difficile che restino a questi livelli se la maggior parte degli altri mercati nel mondo saranno in grado di tenere il terreno guadagnato. Questo mercato ribassista e la crisi finanziaria mondiali hanno mostrato quanto le economie del mondo e i valori degli asset siano interconnessi e correlati: così come non era possibile per le singole economie “sganciarsi” nella fase discendente, quasi sicuramente si dimostrerà impossibile restare “sganciati” nella fase di risalita.

Una differenza tra questa corsa al rialzo e le altre è la presenza (per usare la metafora che va per la maggiore) di “green shoots” nelle statistiche economiche – dati che stanno fornendo qualche speranza di un miglioramento della situazione o, quanto meno, di un rallentamento del declino. Questi dati non sono più così uniformemente spaventosi rispetto alle aspettative come lo erano un mese fa circa e i risultati del primo trimestre hanno regalato qualche sorpresa positiva, più che altro, com’è noto, nel settore delle banche e delle altre attività del comparto finanziario che, a partire dal ribasso di marzo, hanno registrato una forte crescita, anche se la maggior parte è ancora molto indietro rispetto al livello di inizio anno e notevolmente indietro se viste storicamente.


Il comparto finanziario continua a essere l’oggetto di maggiore controversia e, a mio avviso, la più interessante opportunità in questo mercato. Stiamo attraversando una crisi finanziaria mondiale cominciata negli Stati Uniti nel settore immobiliare, che successivamente si è estesa a tutto il sistema finanziario mondiale, il quale sta operando ben al di sotto di quanto è necessario affinché l’economia proceda senza troppi sbalzi. I Credit spreads restano estremamente ampi se confrontati con gli standard storici e le banche sono riluttanti a concedere prestiti se non ai loro migliori clienti. Il sistema bancario “ombra” (vale a dire, le banche di investimento quali Lehman Brothers e Bear Stearns, i veicoli di investimento strutturati, i mercati della cartolarizzazione) si è ridotto, si potrebbe dire, all’ombra di sé stesso facendo sparire come risultato la fonte del credito, fonte che le banche non sono in grado di sostituire nel breve periodo.

Il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha ribadito, correttamente, che occorre che il sistema finanziario e i mercati si riassestino prima che l’economia possa riprendersi. La Fed si è insinuata nella faglia aperta dal collasso del sistema bancario ombra con una serie di iniziative politiche innovative come il piano prestiti TALF (Term Asset-Backed Securities Loan Facility ) o il Programma di Investimento Pubblico-Privato, entrambi in fase di avvio. Sembra che io sia più ottimista della maggior parte degli altri esperti, sul fatto che queste iniziative funzioneranno, sia nella loro forma attuale sia nel caso si tratti di ridisegnarle in maniera interattiva. Il rischio non ancora fugato è che qualche errore nelle politiche faccia deragliare i progressi fatti, anche se un tale rischio sembra ridimensionarsi gradualmente con l’avvicinarsi della conclusione degli stress test, i cui risultati saranno annunciati questa settimana.

Sono convinto che le azioni politiche adottate nei confronti delle banche continueranno a rappresentare il rischio maggiore per la fiducia e per la stabilità del mercato e, conseguentemente, per la ripresa economica. Fino alla fine dell’autunno scorso, la maggior parte degli sforzi intrapresi per governare la crisi l’hanno soltanto accelerata, assestando colpi alla fiducia più che risollevandola. Si pensi alla operazione di copertura del credito delle aziende “sponsorizzate” dal governo (GSE) con la conseguente distruzione della ricchezza degli azionisti ordinari ma anche di quella degli azionisti privilegiati. Impedendo il pagamento dei dividendi ai detentori di azioni privilegiate, il governo è riuscito a scavare un’altra voragine nel capitale del sistema bancario (dove le azioni privilegiate di Fannie Mae e Freddie Mac erano incluse nel tier one delle banche) e, al tempo stesso, a chiudere il mercato delle ricapitalizzazione realizzate tramite l’emissione di azioni privilegiate, che fino a quel momento era stato per il capitale privato un importante strumento per investire nelle banche. La decisione di lasciare fallire Lehman è stata riconosciuta come un totale disastro, in quanto ha messo in ginocchio l’intero sistema creditizio e le sue ripercussioni rappresentano ancora oggi buona parte di ciò che deve ancora essere aggiustato affinché l’economia riprenda a funzionare in maniera normale.

D’allora le politiche sono migliorate, a mano a mano che è diventato chiaro ad almeno alcune parti delle autorità governative che le politiche che cancellano il capitale privato (in omaggio al concetto del moral hazard) e che puniscono chi investe negli istituti finanziari difficilmente invoglieranno il capitale privato a investire nelle banche, il che è però l’obiettivo dichiarato di queste politiche: ripristinare la fiducia in modo tale che il capitale privato si impegni investendo, evitando così al governo di dover rischiare il denaro dei contribuenti.

Qualche voce sensata si è levata durante questa crisi: quella di coloro che hanno capito come funziona il sistema bancario e come si può ripristinare la fiducia. Tra queste, Ricardo Caballero, responsabile del dipartimento di Economia del MIT; Bill Isaac, ex capo dell’Agenzia Federale per la Garanzia dei Depositi (FDIC); il gestore di hedge fund Tom Brown; il veterano analista del settore bancario Dick B
ove; Anatole Kaletsky di GaveKal Research; Eddie Lampert di ESL Investments (e controllante di Sears) e, come sempre, Warren Buffett che, in una recente intervista, ha ricordato la vacuità intellettuale di una delle misure adoperata ora dai ribassisti per colpire le banche, vale a dire, il tasso Tangible Common Equity (TCE), un tasso che indica il valore totale che si otterrebbe se una società fosse liquidata. Queste opinioni di buon senso sembrano essere, però, in netta minoranza rispetto allo schieramento che sembra avere il comando e che annovera due premi Nobel, Paul Krugman e George Stiglitz; uomini politici come Barney Frank e Christopher Dodd nella sinistra; George Will e il senatore Richard Shelby nella destra; la maggior parte degli analisti ribassisti;Tom Friedman e una pletora di commentatori politici ed economici negli Stati Uniti e all’estero; nonché una serie di stregoni specialisti in vendite allo scoperto e gestori di hedge fund e che sperano di ricavare profitti dalla miseria economica, anche se per questo fine devono causarne altra. Se i loro argomenti prevarranno, si troveranno dove si trovò Pirro dopo la battaglia di Asculum nel 279 A.C.

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