Risparmio gestito – Credere nell'etica

L’azienda di oggi centra ben poco col vecchio concetto di azienda strutturata e legata alla produzione, segno che i tempi sono cambiati, le aspettative dei consumatori, il tessuto sociale e i concetti di socialità, ambiente ed equità. L’ambiente circostante muta velocemente e determina il cambiamento di tutte le realtà che con esso interagiscono; primo fra tutti il valore di un’azienda e dei suoi collaboratori. L’immagine dell’azienda piccola ma efficiente, orientata allo sviluppo del capitale umano, legata al territorio quasi avesse radici profonde quanto gli alberi, ha lasciato negli ultimi decenni il posto ad un’azienda globale, orientata al capitale economico, al valore per l’azionista, a crescere a dismisura al cospetto dei tempi e dei modi, a dimenticare che i collaboratori sono parte integrante e non  mezzo indispensabile allo scopo, slegarsi dal territorio per apparire più grande, più robusta, capace di stare ovunque con la stessa faccia, ma senza il cuore.
La situazione attuale ha mostrato a tutti la distanza che si è venuta a creare negli anni tra economia reale ed economia finanziaria.

L’Italia è da sempre un paese caratterizzato da una forte presenza di piccole e medie imprese, distretti produttivi e imprese artigianali spessissimo a conduzione familiare. A rigor di logica, la crisi attuale non dovrebbe aver colpito il nostro paese, invece ai tempi della globalizzazione, tutto viene messo in discussione.
Tutto quello che accade a migliaia di km tocca anche la nostra economia, le nostre abitudini, modifica i nostri comportamenti d’acquisto, i nostri progetti. Il “credit crunch” di matrice americana ha sollevato pesanti polveroni anche in Europa e pertanto in Italia, realtà fino a pochi giorni prima solidissime hanno chiuso i battenti, hanno ridimensionato la forza lavoro, hanno accettato matrimoni o ancora peggio di essere svendute. Con la stessa velocità con la quale si trasferiscono ingenti somme di denaro da un paese all’altro, si aprono aziende, così muoiono realtà storiche, decadono famiglie importanti, si annullano patrimoni importanti.  La stretta del credito ha colpito in primis il settore bancario e a cascata tutte le realtà che con esso interagiscono: le aziende e i nuclei familiari.  Le prime hanno nel credito la linfa vitale per programmare investimenti, essere competitive, lanciare nuovi prodotti, entrare in nuovi mercati, ma soprattutto crescere. I secondi col sistema bancario hanno spesso un rapporto che va avanti una vita, fatto di relazioni continue: aperture conti correnti, depositi, investimenti, mutui, prestiti; operazioni che in un paese come il nostro, forte di legami familiari indissolubili,  significano progettare un futuro per se stessi e per i figli.
Dov’è andato a finire il rapporto umano che, nella ns tradizione, ha sempre costituito il perno delle relazioni sociali ed economiche? Com’è possibile che un imprenditore con un robusto patrimonio ed un storia fatta di prestiti onorati si veda negare un prestito dalla banca di paese e dal direttore che conosce da decenni? Com’è ancora possibile che tante famiglie in difficoltà col pagamento dei mutui non abbiamo avuto il giusto supporto da parte della banca e che oggi facciano fatica ad arrivare alla terza settimana? Con quali premesse le nuove generazioni affrontano il presente e quali risposte è pronto a dare il mondo politico?
Tutto questo è facilmente spiegabile: la finanza è diventata unicamente una macchina per far generare denaro agli azionisti e non valore come dovrebbe essere. La finanza è diventata lo strumento per generare ricchezza per pochi e fumo negli occhi per altri. Una fabbrica di prodotti senza alcun legame reale con beni tangibili e servizi, un puzzle di tecniche atte a costruire su un unico sottostante più prodotti, a scommettere su tutto e di più, una lotteria di cui pochi conoscono le regole, ammesso che regole ci siano mai state.

Questo spiega come è possibile far fallire coltivazioni  di banane a Portorico speculandoci sopra, far impennare il prezzo del petrolio, creare ansie su titoli con vertiginosi sali e scendi, creare bolle, speculare sul costo delle materie prime, influenzare tramite i media gli atteggiamenti dei clienti e determinare a prescindere il successo o meno di un’idea.
Tutto questo è il lato negativo di una globalizzazione non etica, una sfida persa sul lato umano,  sociale e ambientale.
Cosa ne è e ne sarà delle nostre imprese artigiane capaci in passato di vendere all’estero ceramiche, conserve, macchinari, brevetti ecc ecc se dovranno affrontare pericoli come concorrenze sleali, speculazioni, burocrazie di ogni genere, banche non più disposte ad assicurare il credito?
I capitani d’azienda devono capire che la logica dell’utile a tutti costi non porta da nessuna parte, che bisogna concentrarsi sui core business, investire sul capitale umano e tecnologico, guardare alle best practise, non smettere di innovarsi, dare forte peso alle componenti sociali e ambientali che sono indispensabili nel tessuto odierno. Creare aziende snelle, avere dipendenti motivati, ottime relazioni con le controparti, programmare a medio/lungo raggio le strategie operative, chiedere alle autorità di essere protette da chi gioca sporco, da chi non segue le regole.
E’ diventato seccante parlare di etica, un concetto per natura astratto speso in tutte le salse: il concetto deve essere quello di fare impresa tutti i giorni e che ognuno torni a fare bene il proprio lavoro: l’imprenditore l’imprenditore, il banchiere il banchiere, il sindacalista il sindacalista, il legislatore il legislatore!
Le forze economiche hanno tutti i presupposti per superare questa crisi, creare un sistema nuovo fatto di regole e basato sulla meritocrazia, dotato di sistemi di controllo efficienti e in grado di generare ricchezza fruibile per tutti.
Da questo periodo di crisi non ci si aspetta di risolvere tutti i problemi, di creare il sistema ideale, ma di aver capito come saldare le crepe, smuovere le coscienze ed essere preparati per terremoti futuri visto che si parla spesso di crisi indispensabili.
Come spesso da ragazzo mi diceva mio padre, artigiano da più di 30 anni, che i momenti di crisi li ha visti arrivare e passare: “il verme striscia perché deve strisciare, l’uomo striscia perché vuole strisciare”

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!