Risparmio gestito – La tigre e il toro

Exit dalla politica espansionistica cinese, e, sulla sua scia, dalla forte ripresa economica che ha sostenuto in questi ultimi mesi la crescita mondiale? Bisogna rispondere sì alla prima parte della domanda e no alla seconda. Vediamo perché. Mentre la crescita delle economie USA e Eurolandia ha a appena iniziato a dar segni di ripresa nel secondo trimestre, la crescita indiana è stata di oltre il 6% annuo e quella della Cina di quasi l’8%. Occorre un’ulteriore traduzione per rendere questi dati confrontabili con quelli occidentali: la crescita cinese del secondo trimestre rispetto al primo è stata di oltre il 15% su base annua. Le misure espansionistiche adottate dallo scorso novembre dal governo cinese hanno quindi ampiamente consentito di controbilanciare l’urto provocato dal crollo della domanda estera. Gli economisti della Bank of America hanno rivisto le loro previsioni di crescita all’8,7% e 10,1% per la Cina nel 2009 e 2010 rispettivamente; quelli di Goldman Sachs sono ancora più ottimisti, con stime rispettivamente del 9,4% e dell’11,9%. Pertanto, la politica monetaria cinese non ha più ragione di continuare ad essere così espansionistica, anche se rimarrà accomodante ancora per qualche tempo. Da una parte perché la domanda esterna rimane debole e le economie sviluppate convalescenti. Finché le esportazioni non registrano una solida crescita, le autorità cinesi rimarrano prudenti. Dall’altra perché l’inflazione si trova ancora in territorio negativo. L’indice dei prezzi al dettaglio è ancora in calo dell’1,8% su base annua, mentre il principale tasso di riferimento si attesta a 5,31% su 1 anno. È difficile credere ad un inasprimento della politica monetaria quando i tassi reali sono oltre il 7%.

Il rallentamento chiaramente orchestrato dalla crescita dei crediti bancari è tale da arginare la crescita cinese? Non ne siamo assolutamente convinti. Questo rallentamento era auspicabile. Una parte di questi crediti era rivolta ad attività speculative, azioni classe “A”, rame, immobiliare. Ora distinguere il grano buono dal loglio non è impresa facile, in Cina come altrove. Alcuni provvedimenti sono stati quindi presi per limitare la concessione di crediti. Ciò non significa che la liquidità nel sistema finanziario cinese si stia riducendo, né che la crescita si vada a stabilizzarsi. Tradizionalmente, il 65% dei nuovi crediti concessi in Cina avviene nel primo semestre. Pertanto non suscita alcuna meraviglia la previsione di una riduzione del medesimo ordine di grandezza quest’anno. Inoltre, il rallentamento della crescita dei crediti non avrà alcun impatto significativo sulla liquidità. Ciò che è stato iniettato nell’economia è lì e lì rimarrà. In realtà, una parte dei crediti già concessi, in particolare sotto forma di “bill financing loans” si trasformerà in crediti destinati all’investimento nell’economia reale. Sottolineiamo anche che le banche non hanno aumentato la loro leva in modo irresponsabile, dato che il rapporto prestiti/depositi è passato solo dal 65% ad inizio anno all’attuale 67%. Stessa cosa per il risparmio delle famiglie che ammonta attualmente a circa 25.000 miliardi di Yuan, a fronte di un indebitamento totale (compreso quello ipotecario) di solo 3.500 miliardi di Yuan. La flessione delle azioni “A” nello scorso mese è un segno precursore dell’indebolimento della crescita? È poco probabile. La correlazione tra i due è nettamente meno evidente che per quanto riguarda i mercati sviluppati. Il mercato cinese è essenzialmente un mercato locale, sul quale gli investitori internazionali non possono intervenire. È inoltre un mercato adolescente, che ha poco meno di 20 anni, con la vivacità e gli sbalzi propri della giovinezza. Rispetto alla flessione del 22% della borsa di Shanghai nel mese, i nostri portafogli di titoli cinesi presenti in Carmignac Investissement e Carmignac Patrimoine, quotati ad Hong Kong (le azioni “H”) hanno accusato solo una flessione inferiore all’8%. Registrano comunque, dopo questa flessione, un apprezzamento del 70% da inizio anno. Non trascuriamo l’impatto psicologico che sembra aver assunto l’ampiezza delle virate del mercato di Shanghai sugli investitori. Evitiamo tuttavia esagerazioni e cerchiamo di non trarre conclusioni affrettate.

Exit dai mercati borsistici dopo le progressioni di quasi il 50% in media dopo il minimo raggiunto da inizio marzo? Evidentemente si tratta di una domanda legittima. Ci sembrerebbe ragionevole considerare un periodo di consolidamento dei mercati azionari dopo simili percorsi. In particolare, i mercati statunitensi e della zona euro ci sembrano correttamente valutati, senza per altro essere eccessivi. Una pausa è quindi possibile in un contesto in cui gli investitori si aspettano conferme sul miglioramento della situazione economica, in particolare negli Stati Uniti. È lo scenario più probabile. I mercati emergenti, che avevano superato i mercati sviluppati, hanno già sottoperformato rispetto a questi ultimi nel corso del mese di agosto; alcuni, soprattutto in Asia, hanno perfino perso un po’ di terreno. Manteniamo tuttavia un ottimismo ragionato. Di fronte ad economie sviluppate sempre convalescenti, in un contesto che rimane deflazionistico, le banche centrali e i governi dei paesi del G20 continueranno ad attuare politiche espansionistiche o perlomeno accomodanti. Un contesto quindi favorevole alle economie emergenti, la cui ripresa della crescita ci pare voler durare. Quindi, le azioni e,in primo luogo, i temi d’investimento connessi a questa crescita interna emergente, consumi, investimenti e materie prime dovrebbero, dopo questa sana pausa di fine estate, costituire nuovamente un notevole motore di performance per l’insieme della nostra gestione.

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